Economia

Un reddito di dignità contro povertà, mafia e fascismo

La rete dei Numeri Pari ha presentato la sua proposta: un reddito minimo garantito, diverso sia dal Rei attualmente in vigore, che da quello del Movimento 5 Stelle

Foto di repertorio

Un reddito minimo garantito. Una misura per contrastare la povertà, la diseguaglianza e la criminalità organizzata: tre 'mali' che affliggono l'Italia intera. In un momento come questo, dominato dalla campagna elettorale in vista del voto del 4 marzo, il reddito per le famiglie in difficoltà è diventato protagonista tra le proposte dei diversi partiti in gioco: dal Rei, attualmente in vigore e 'sponsorizzato' dal Pd, al reddito di cittadinanza dei 5 stelle, fino alla proposta poco dettagliata di Berlusconi.

E' in questo quadro di promesse elettorali che entra a gamba tesa la proposta della Rete dei Numeri pari, che unisce diverse realtà sociali su tutto il territorio nazionale, con l'obiettivo di contrastare la  disuguaglianza sociale.

La Rete, grazie al contributo di magistrati, giuristi, esperti nel sociale e ricercatori, ha realizzato il seminario “I Love Dignità” e ha realizzato la proposta di un reddito minimo garantito da discutere con il prossimo Governo. Un'idea che lo scorso anno aveva visto convergere il 40% di deputati e senatori del M5s, di una parte del Pd e Sel raccogliendo più di 100mila firme. Nonostante questo la proposta è rimasta nel dimenticatoio. 

Ma adesso che le elezioni sono alle porte e il dibattito si fa sempre più acceso, la Rete dei Numeri pari ha presentato il suo reddito minimo di garantito, in una conferenza stampa tenutasi giovedì 15 febbraio presso la sede della Federazione Nazionale Stampa Italiana a Roma.

Il reddito minimo in 10 punti

Dopo cinque anni di lavoro, ecco in dieci punti la proposta di reddito minimo garantito:

  1.  Un reddito individuale attraverso l’erogazione di un beneficio in denaro e destinato a sostenere la persona, ricordando che i sistemi di redditi minimi adeguati debbano stabilirsi almeno al 60% del reddito mediano dello Stato membro interessato (come espressamente previsto al punto 15 della Risoluzione del Parlamento europeo del 20 ottobre 2010 sul ruolo del Reddito Minimo, nella lotta contro la povertà e la promozione di una società inclusiva in Europa: e avvalorato dal Rapporto annuale 2014 dell’Istat su “La situazione del Paese”(pag. 227 228 – Tavola 5.17).
  2. Individuare i destinatari del Reddito Minimo o di Cittadinanza, considerando che per alcuni è uno strumento di valorizzazione ed autonomia di scelta del proprio percorso di vita, per altri sono necessarie misure di reinserimento sociale e per altri ancora è necessario attivare forme di promozione dell’occupazione.
  3. Stabilire una soglia di accesso tale da poter intervenire su tutti coloro che vivono al di sotto di una certa soglia economica (non meno del 60% del reddito mediano equivalente familiare disponibile) ed individuare eventualmente ulteriori interventi specifici, come quelli volti all’affermazione dell’autonomia sociale dei soggetti beneficiari compresi coloro che sono in formazione, cosi da garantire il diritto allo studio e, in particolare, per contrastare la dispersione scolastica e universitaria. Interventi che sono previsti nella maggior parte dei paesi dell’Unione europea sotto la forma di un “reddito di formazione” sia diretto che indiretto che si affianca al reddito minimo o di cittadinanza.
  4. I beneficiari dovranno essere residenti sul territorio nazionale.
  5. La durata temporale del beneficio sia destinata “fino al miglioramento della propria condizione economica” o comunque ad una replicabilità temporale dell’intervento cosi da non permettere che si rimanga senza alcun sostegno economico.
  6. Non contrapporre il Reddito Minimo o di Cittadinanza, e l’integrazione sociale e la garanzia ad una vita dignitosa attraverso l’obbligo all’integrazione lavorativa. In sostanza che“il coinvolgimento attivo non deve sostituirsi all’inclusione sociale e chiunque deve poter disporre di un Reddito Minimo, e di servizi sociali di qualità a prescindere dalla propria partecipazione al mercato del lavoro” (Relazione per Risoluzione europea sul Coinvolgimento delle persone escluse dal mercato del lavoro – 8 aprile 2009).
  7. Incentivare la libertà della scelta lavorativa come misura di contrasto dell’esclusione sociale può evitare la ricattabilità dei soggetti in difficoltà economica. In questo caso il concetto di “congruità dell’offerta di lavoro” e non dunque “l’obbligatorietà del lavoro purché sia” può ben riferirsi alla necessità di valorizzare il soggetto beneficiario ed a trovare tutti gli strumenti utili affinché l’integrazione al lavoro tenga conto delle sue esperienze, delle sue capacità e competenze e dunque a non generare comportamenti di vessazione e imposizione verso il beneficiario. Perché “la causa di un’apparente esclusione dal mondo del lavoro può risiedere nella mancanza di sufficienti opportunità occupazionali dignitose piuttosto che nella mancanza di sforzi individuali” (Risoluzione sul Coinvolgimento delle persone escluse dal mercato del lavoro– 8 aprile 2009).
  8. Costruire un sistema integrato, oltre l’erogazione del beneficio economico, con le altre misure di welfare sociale e di servizi di qualità con il coordinamento tra gli organi preposti alla loro erogazione (Regioni e Comuni) così da definire un ventaglio di interventi mirati e diversificati a seconda delle necessità e delle difficoltà della persona e che mirano ad assicurare un’esistenza libera e dignitosa.
  9. Affiancare il Reddito Minimo o di Cittadinanza all’individuazione di un progetto di integrazione sociale individuale condiviso con il beneficiario che lo richiede.
  10. Rafforzare i servizi e il sistema dei centri per l’impiego pubblici destinandoli a centri per l’impiego ed i diritti in cui potersi rivolgere anche per l’erogazione del Reddito Minimo o di Cittadinanza.

Reddito minimo garantito o reddito di dignità

A presentare la proposta è stato Giuseppe De Marzo, coordinatore della Rete dei Numeri Pari: “Per il suo livello di scientificità, la nostra proposta è l’unica in grado di rovesciare la situazione e contrastare davvero povertà, mafie, disuguaglianze, razzismo coniugando solidarietà e dinamismo economico. È vergognoso che una proposta di cui beneficerebbero 18 milioni di persone a rischio esclusione sociale, oltre che la collettività tutta, non sia mai stata discussa in Parlamento mentre si sia scelto di tagliare il 93% del fondo nazionale per le politiche sociali e i trasferimenti agli enti locali”.

Che in Italia ci sia la necessità di una misura simile non è certo una novità, come ha fatto notare lo stesso De Marzo in conferenza stampa: “Chi non ha memoria non può leggere il presente e guidarci nel futuro. Il 15 giungo del 2010, 300 economisti scrissero una lettera ai membri del Governo, all'Ue, ai sindacati e ai politici, spiegando che le politiche restrittive di austerità avrebbero avuto effetti devastanti, rafforzando fascismi e nazionalismi. A questa missiva seguì un secondo appello, datato settembre 2013, in cui il pool di esperti, oltre a far notare gli effetti negativi dell'austerity, faceva notare un nuovo errore dell'Europa: il pensare che i Paesi periferici dell'Ue possano risolvere i loro problemi con risorse strutturali. Una miopia che è la principale causa delle ondate di nazionalismo a cui abbiamo assistito nell'ultimo periodo”.

Il quadro in cui questa proposta si va ad inserire è senza dubbio drammatico, come si evince dai dati snocciolati in conferenza: siamo il terzo peggior Paese in Europa per le diseguaglianze, siamo gli unici nell'Unione Europea a non avere un reddito minimo garantito (fino a poco tempo anche la Grecia ne era sprovvisto, ma Tsipras si sta adoperando per inserirlo), abbiamo la peggior percentuale di dispersione scolastica, milioni di persone sotto la soglia di povertà e a rischio esclusione sociale e circa 12 milioni di persone che non possono permettersi neanche le cure mediche. Al momento il Governo ha risposto con il Rei (Reddito di inclusione), che secondo De Marzo è una misura insufficiente: “Il Rei è una proposta sotto-finanziata e raggiunge meno della metà delle persone che dovrebbero averne accesso. Serve soltanto per 'risolvere' momentaneamente le situazioni più gravi, ma non permette certo di fare il salto di qualità”.

Un reddito minimo come lo vuole l'Europa

L'Unione Europea non prevede soltanto un reddito sotto forma di denaro, ma anche il diritto alla casa e dei servizi sociali adeguati. Inoltre, tra gli obiettivi imposti dall'Ue agli Stati membri c'è la diminuzione della povertà, che invece in Italia aumenta, come ha spiegato il magistrato Giuseppe Bronzini, cofondatore di Basic Income Network: “Adesso che anche la Grecia sta adottando questa misura, l'Italia è l'unica ad esserne sprovvista. Che sia necessaria lo si capisce chiaramente dai dati sulla povertà: gli altri Paesi Ue hanno già risolto il problema, raggiungendo l'obiettivo chiesto da Bruxelles, da noi la povertà aumenta  invece di diminuire, rendendoci sempre più lontani da questo obiettivo”.

L'Ue ha dato dei parametri ben precisi per l'introduzione di un reddito minimo, parametri che non vengono rispettati nel Reddito di inclusione, come spiega lo stesso Bronzini: “Il Rei non rispetta le regole dell'Ue perché non permette di vivere un esistenza libera e dignitosa, seleziona soltanto una parte dei poveri assoluti e lo fa con un credito insufficiente”. 

Ma allora quali sono i parametri consigliati dall'Unione Europea? “Le raccomandazioni si questo tipo di misura – ha continuato Bronzini – sono contenute in un testo del 1992, che indica i criteri per determinare il reddito, poi reiterati nel 2008 e nel 2017”. 

Ecco in sintesi le indicazioni dell'Europa elencate da Bronzini:

  • Deve assicurare il 60% del reddito , pari a circa 780 euro mensili, che corrispondono al parametro individuale per vivere in maniera dignitosa. Non è quindi rivolto soltanto ai poveri, ma anche ai lavoratori poveri, agli esclusi sociali e a target più complessi che il Rei non considera.
  • Non si limita ad una prestazione monetaria, ma deve essere agganciata ai servizi, al sostegno per la casa, al diritto all'assistenza sociale e abitativa
  • Deve sostenere i soggetti anche nelle spese impreviste
  • Deve mantenere il principio di individualità, il reddito minimo garantito non si rivolge alle famiglie ma alle persone singole, l'esatto opposto del Rei
  • Il concetto di condizionamento, ossia il fatto che il reddito sia condizionato dal dover trovare il lavoro. Il condizionamento al lavoro è insensato, soprattutto in Italia, in cui le posizioni libere latitano e la disoccupazione giovanile è al 40%. Il lavoro offerto deve essere congruo al bagaglio professionale del soggetto a cui viene offerto.
  • Infine, le forme di accompagnamento, controllo e sostengo non possono essere incoerenti con la finalità della prestazione: quindi niente controlli invasivi sui soggetti, che altrimenti non possono vivere in maniera autonoma la loro vita.

Il reddito e la Costituzione

Ma il reddito non è una misura prevista soltanto dall'Europa, anche la Costituzione italiana contiene degli articoli che lo riguardano, come spiegato in conferenza stampa da Gaetano Azzariti, Costituzionalista e presidente Salviamo la Costituzione: “Ci sono diversi articoli che fanno riferimento ai quattro principi fondamentali che sono dignità, uguaglianza, solidarietà e lavoro.  Il “reddito costituzionale” dev’essere uno strumento di emancipazione e partecipazione attiva, non un’elemosina che lascia i poveri ai margini”.

 “Il reddito non deve essere visto come un sussidio all'abbandono o come un'elemosina. - ha concluso Azzariti - Per quanto riguarda il condizionamento a trovare un lavoro, è sbagliato dare un sussidio a tempo, soprattutto se poi l'individuo è costretto ad accettare occupazioni degradanti”.

Il dramma dei giovani

Ad analizzare il tema dal punto di vista dei giovani ci ha pensato Martina Carpani, studentessa e rappresentante Rete della Conoscenza: “Siamo la generazione più povera dalla seconda guerra mondiale. L’introduzione di un reddito minimo garantito, che per noi si declina in un reddito di formazione, è oramai una riforma necessaria per la sostenibilità del sistema. La politica prenda immediatamente posizione proponendo misure concrete”.

I dati che riguardano le giovani generazioni sono drammatici, per non dire apocalittici, termine utilizzato dalla Cgil: “Negli ultimi 10 anni il 70% dei cittadini ha visto il proprio reddito decrescere, nel decennio precedente erano solo 10 milioni (il 2%). Colpisce scoprire  che il 97% delle famiglie italiane si è impoverito, mentre i giovani sono senza prospettive. Inoltre abbiamo il record di Neet e un welfare irrisorio. Il reddito minimo – ha continuato la Carpani – deve servire alla redistribuzione della ricchezza,  utile a costruire un Paese i cui i servizi siano accessibili a tutti. Il reddito non è una scusa, come fanno alcuni partiti che ne stanno parlando in campagna elettorale”.

Un problema non solo economico, ma anche culturale

Ma che c'entra la cultura con il reddito minimo? C'entra eccome, come ha spiegato lo storico dell'arte Tomaso Montanari: “Questo paese ha il 48% degli analfabeti funzionali e un tasso di astensione alle scelte politiche del 30%. Senza l’accesso alla conoscenza, alla cultura, questo paese rischia di diventare un’oligarchia e terreno di populismi e fascismi. Il reddito minimo garantito, quindi, serve non solo a chi lo percepisce ma è uno strumento di interesse strategico della collettività. Libertà e giustizia sposa la proposta di reddito proposta dalla Rete dei Numeri Pari”.

“Il reddito serve per far riscattare i cittadini, per cui l'accesso alla vita culturale è fondamentale. Questo è il modo per garantirlo. L'urgenza è rimettere nel gioco della democrazia queste persone che hanno bisogno di un reddito minimo in termini economici e di cultura. Non serve soltanto a chi lo percepisce, ma serve a tutti. E' come la salute, un diritto di ogni persona, ma nell'interesse della collettività”, ha concluso Montanari.

Un reddito contro la mafia

Oltre a contrastare la povertà e l'esclusione sociale, un reddito minimo sarebbe anche un'arma per combattere la criminalità organizzata, che approfitta delle situazioni di povertà per i propri scopi, come confermato da Don Ciotti, presidente del Gruppo Abele e di Libera, che ha concluso la conferenza: “La rete dei Numeri Pari è nata per lottare e sognare mentre oggi sono in troppi a scegliere un prudente silenzio. I poveri non chiedono elemosina ma dignità e la povertà è un reato contro la dignità delle persone. È un crimine di civiltà. Fare politica vuole dire partire dai bisogni e dalle speranze delle persone. Politica è etica della comunità e oggi c’è un divorzio tra politica ed etica. Se la politica è lontana dalla strada e dagli ultimi, la politica è lontana dalla politica ed è quindi un’altra cosa. Dobbiamo alzare al voce perché, pur di avere consenso, si sta calpestando la dignità della persone creando un clima sconcertante”. “I diritti sociali abilitano ad esercitare gli altri diritti, politici e sociali -  ha concluso Don Ciotti - Il male ha un nome: mafia. Non usciremo mai da questa situazione se non si affronta questo nodo”.


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