Ambiente

Nelle acque del Po trovati pesticidi proibiti da decenni

Il rapporto sulla sostenibilità ambientale pubblicato dall'Ispra è un campanello d'allarme. Il problema è che per alcune sostanze non è prevista alcuna soglia di sicurezza: eppure sono cancerogene e tossiche

Sono vietati da decenni. Eppure, nelle acque del Po, sia in quelle superficiali che sotterranee, sono ancora presenti. Si tratta di pesticidi come l'atrazina, simazina e alaclor, banditi in alcuni casi (l'atrazina) da 25 anni ma ancora rilevati, anche se in basse concentrazioni, nei fiumi e nelle acque sotterranee. A suonare l'allarme è l'Ispra che, dopo un monitoraggio iniziato nel 2003, ha pubblicato il report "Sostenibilità ambientale dell'uso dei pesticidi - il Bacino del Po" (scarica qui il report completo).

Il problema, sottolinea l'Ispra, è che per alcune sostanze, considerate "estremamente preoccupanti", non esiste una soglia di sicurezza per la salute e per l'ambiente. Eppure si tratta di "sostanze  cancerogene, mutagene e tossiche". Ma, essendo state vietate anni fa, anche decenni, sono praticamente scomparse dalle tabelle ufficiali. Il risultato? Decisamente preoccupante, non solo per la salute del maggior corso d'acqua italiano, ma di interi ecosistemi e, di riflesso, di intere piantagioni della più importante area agricola d'Europa.

Ma com'è possibile che, pur vietate anche da 25 anni, queste sostanze siano ancora presenti nel Po? Secondo l'Ispra il quadro è abbastanza semplice da delineare: "La sostenibilità dell'uso dei pesticidi non può basarsi semplicemente sul rispetto di determinati limiti di legge, ma deve considerare la capacità degli ecosistemi di rispondere ai fattori di stress antropici e di ripristinare le condizioni precedenti, o almeno condizioni ecologicamente sostenibili (resilienza)". Nelle acque sotterranee, ad esempio, vengono a mancare quasi del tutto i "meccanismi di degradazione" e la concentrazione di queste sostanze evolve con i tempi di ricambio estremamente lenti delle falde.

Il rischio pesticidi - sottolinea l'Ispra - è ancora sottostimato: lo dimostrano le lacune conoscitive in tema di effetti cumulativi e una regolamentazione in cui la valutazione del rischio sia fatta sulle singole sostanze.

Per oltre dieci anni, gli esperti dell'Istituto hanno studiato l'evoluzione della contaminazione da pesticidi nel bacino del fiume Po, il più importante d'Italia per dimensione e per concentrazione delle attività umane. E' stata analizzata la presenza nel fiume e nelle acque sotterranee di alcuni erbicidi non più usati da anni (atrazina, simazina, alaclor) dimostrando che le sostanze possono persistere nell'ambiente più di quanto stimato in fase di autorizzazione.

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IL CASO DELL'ATRAZINA

Tra le sostanze più rinvenute nelle acque supercificiali e in quelle sotterranee e tra quelle che hanno determinato più di frequente il superamento degli standard di qualità ambientale ci sono gli "erbicidi triazinici": atrazina, simazina, terbutilazina e i metaboliti atrazina-desetil e terbutilazina-desetil. A preoccupare, come detto, è soprattutto la concentrazione di atrazina, vietata in Italia addirittura dal 1992. 

L'atrazina è stata rinvenuta nel 4,1% dei 1.065 punti di monitoraggio delle acque superficiali in cui è stata cercata e nel 5,6% dei 2.068 punti di monitoraggio delle acque sotterranee. 

Si tratta, spiegano dall'Ispra, di una "contaminazione storica" a causa dell'uso diffuso in passato e alla persistenza ambientale. "La rilevazione dei suoi metaboliti a livelli superiori supporta la conclusione di un inuinamento di lunga durata. Ma perché è stata scelta proprio l'atrazina come "diserbante tipo" da cercare nel Po? "La scelta è basata sul fatto che non essendo più in uso da oltre due decenni, la sua presenza nelle acque dipende esclusivamente dalle sue caratteristiche chimico-fisiche e dalle dinamiche ambientali. 

I rischi dell'atrazina - Sensibilizzazione della pelle; tossicità specifica per organi bersaglio per esposizione ripetuta; pericolo acuto per l'ambiente acquatico; pericolo cronico per l'ambiente acquatico. 

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I RISCHI FUTURI

 

Nelle conclusioni del report, l'Ispra critica fortemente il quadro in cui ci si muove per regolamentare l'utilizzo delle sostanze chimiche in agricoltura. In particolare, "pur riconoscendo la sostanziale validità del quadro regolamentare europeo in tema di sostanze chimiche", si segnalano diverse criticità "che è opportuno considerare per arrivare a una più adeguata gestione del rischio dei pesticidi". 

Il processo di autorizzazione dei pesticidi si basa su una valutazione preventiva dell’impatto delle sostanze sull’ambiente e sull’uomo. Queste valutazioni si concretizzano in metodi di analisi del rischio da tempo codificati. L’autorizzazione viene concessa nel caso che tali valutazioni dimostrino il rispetto di determinati criteri.

Il primo aspetto critico del processo di autorizzazione riguarda la valutazione dell’esposizione nel caso di sorgenti diffuse. La valutazione, infatti, "viene fatta generalmente su scenari ipotetici idealizzati, non sempre rappresentativi delle situazioni reali, specie se si considera l’uso su larga scala e in elevate quantità".

Oltre ai dati e alle valutazioni presentate, "diversi studi attestano le dinamiche estremamente lente con cui i pesticidi si muovono nel suolo e indicano che la contaminazione delle acque sotterranee può avvenire anche a distanza di anni dall’uso, anche quando questo non è più praticato".

Tali evidenze indicano la necessità di un’analisi critica delle attuali procedure di autorizzazione delle sostanze, e richiedono che una corretta valutazione del rischio dovrebbe considerare in modo retrospettivo i dati di monitoraggio ambientale. 

Un altro problema è la "valutazione di pericolo", in particolare per alcune sostanze estremamente problematiche generalmente considerate senza soglia di pericolo per le quali non è possibile stabilire un limite accettabile.

Una riflessione sulla sostenibilità, inoltre, è necessaria in considerazione del fatto che spesso nelle acque sono presenti miscele di sostanze diverse, la cui composizione non può essere conosciuta a priori, ma solo in seguito ad estese campagne di monitoraggio. Le note lacune conoscitive in tema di effetti cumulativi, soprattutto riguardo alle modalità di azione delle sostanze e una regolamentazione in cui la valutazione del rischio è fatta sulle singole sostanze, consentono di affermare che il rischio dei pesticidi è sottostimato.
 


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