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Bollettino quotidiano Covid: ha ancora senso?

Perché ancora tanti morti covid?

Gli ultimi bollettini covid mostrano che contagi e ricoveri sono in calo costante, ma da settimane i decessi giornalieri non accennano a scendere sotto quota cento. È la spia di un’alta mortalità tra i soggetti fragili, o di una statistica sempre meno affidabile? Cerchiamo di capire bene cosa stia succedendo partendo dai dati e grazie all'opinione di Silvestro Scotti del sindacato dei medici di base, e di Gennaro De Pascale, coordinatore della terapia intensiva Covid dell'ospedale Gemelli di Roma.

Perché così tanti "morti Covid"

Calano i contagi, fermi nell’ultima settimana a quota 243mila (il 14,8% in meno rispetto alla precedente). Continuano a diminuire i ricoveri ordinari e quelli in terapia intensiva, arrivati ormai ad appena 337 posti letto occupati. Ma in una situazione che sul piano epidemico sembra prossima a certificare la fine della quarta ondata, c’è un numero che stona nei bollettini quotidiani del Ministero della Salute: i decessi. In calo anche loro, sì, ma ancora stabilmente fermi sopra quota cento. Una soglia psicologica, forse. Ma non solo: mai nelle ondate precedenti erano infatti scesi così lentamente. Il dato è difficile da interpretare, anche per gli addetti ai lavori: potrebbe essere (almeno in parte) la spia di un paese che fatica ancora a proteggere le persone più a rischio, ma potrebbe anche indicare l’ingresso in una nuova fase dell’epidemia italiana, in cui la presenza di una variante come Omicron, super infettiva ma al contempo più blanda (soprattutto per chi ha completato il ciclo di vaccinazioni), rende sempre più complessa la conta quotidiana dei decessi.

Per quanto riguarda la protezione delle categorie più a rischio, il monitoraggio settimanale di Fondazione Gimbe evidenzia un potenziale problema. Le evidenze scientifiche emerse negli ultimi mesi dimostrano infatti che la protezione vaccinale nei confronti della malattia grave inizia a calare dopo 120 giorni dalla somministrazione del booster. “Sebbene questo dato non sia mai stato enfatizzato dai report istituzionali” si legge nel nuovo rapporto, “in Italia, a partire da metà febbraio, si rileva un progressivo aumento del tasso di mortalità negli over 80 (da 28,8 a 40,1 decessi per 100 mila persone) e – seppure in misura minore – nella fascia 60-79 anni (da 3,4 a 4,9 decessi per 100 mila persone), con conseguente numero assoluto di decessi molto elevato nelle fasce più anziane della popolazione, in particolare negli over 80”.

Scotti: "Più anziani malati"

Complici le festività pasquali, che hanno contribuito a riunire molti anziani con i parenti più giovani, più esposti all’infezione per esigenze lavorative e abitudine alla socialità, potrebbero essere proprio gli ultraottantenni, più fragili e con le terze dosi ormai vecchie di mesi, a tenere alto il numero di decessi quotidiani in questa fase di relativa calma. “Nelle ultime settimane abbiamo notato un lieve spostamento generazionale dei nuovi contagi. Il numero di positivi è in continua diminuzione, ma il numero di malati anziani è in lieve aumento – ci racconta Silvestro Scotti, Segretario Generale della Federazione Italiana Medici di Medicina Generale – e questo potrebbe riflettersi su un calo dei decessi più lento di quello che vorremmo”.

Con l’epidemia in continua ritirata, esiste però anche un altro rischio: quello di un’eccessiva attenzione alla positività dei singoli pazienti. Se sui grandi numeri di qualche mese fa non si correva certo il pericolo di sovrastimare eccessivamente i decessi provocati da Covid, con un centinaio di morti al giorno le probabilità di trovare positivi pazienti destinati comunque al decesso, e di cui è difficile stabilire l’esatta causa di morte, si fa sempre più elevata. “Oggi quando un paziente poliscompensato muore e viene trovato positivo al virus, come si valuta il decesso? – riflette Scotti – è un problema che può certamente presentarsi, e che può effettivamente distorcere la percezione dell’impatto di questa pandemia, soprattutto con la disponibilità di farmaci e vaccini che permettono di ridurre sempre più concretamente la mortalità”.

I tre tipi di pazienti nelle terapie intensive Covid

Se i decessi ufficiali potrebbero quindi non rispecchiare più l’effettivo bilancio della pandemia in queste settimane, dove si può cercare un indicatore più affidabile? Una possibilità è quella di attenersi alla sintomatologia più caratteristica delle forme gravi di Covid 19: la polmonite con sindrome da distress respiratorio acuto (o Ards) che ha riempito le terapie intensive italiane (e non solo) durante i picchi pandemici degli ultimi due anni. E attenendoci a questa classificazione, la situazione sembra ben più rosea.

“La pressione sulle terapie intensive è molto diminuita: oggi vediamo pochissime polmoniti Ards, anche rispetto allo stesso periodo dello scorso anno”, ci racconta Gennaro De Pascale, coordinatore della terapia intensiva Covid del Gemelli di Roma. “Il merito ovviamente è dei vaccini. Al momento ci sono tre tipi di pazienti nelle terapie intensive Covid: con polmoniti Ards vediamo sostanzialmente o irriducibili che non si sono ancora vaccinati, o pazienti vaccinati affetti da patologie del sistema immunitario che riducono l’efficacia dei vaccini; gli altri, la stragrande maggioranza, sono persone colpite da insufficienze d’organo di altro tipo, infarti, emorragie cerebrali, ictus, in cui la positività del tampone è accidentale, e che vengono ricoverati nei reparti Covid per motivi organizzativi legati all’esigenza di contenere al meglio il rischio di diffusione del virus”.

Per De Pascale, il bollettino quotidiano dei morti Covid è ormai uno strumento inutile per valutare l’andamento dell’epidemia. "Più utile – suggerisce – sarebbe un resoconto dei decessi avvenuti in seguito a polmoniti Ards". Se pur molto più contenuto, il numero aiuterebbe forse a prendere coscienza del pericolo che corre chi non è protetto efficacemente dal vaccino. E non parliamo solo dei no vax tout court, ormai probabilmente incorreggibili, ma anche di tante persone eleggibili per la quarta dose che continuano a rimandarla, convinti magari di attendere una formulazione migliore in arrivo per il prossimo autunno. "Mantenere alta la guardia è importante – conclude De Pascale – e in questo momento vuol dire principalmente comprendere che chi non ha completato il vaccino con la quarta dose si espone a rischi concreti, e inutili”.


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