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Multe e rettifiche "copia e incolla": così Fratelli d'Italia vuole zittire la stampa

Il disegno di legge del senatore Alberto Balboni aumenterebbe i problemi già esistenti nella categoria, come le "querele temerarie". Per l'Ordine dei giornalisti è "una bomba a orologeria piazzata nelle redazioni": di cosa si tratta

(foto: LaPresse)

Sanzioni fino a 50mila euro più i danni in sede civile, rettifiche copia-incolla "senza commento, senza risposta e senza titolo". Un disegno di legge sulla diffamazione a firma di un senatore di Fratelli d'Italia vuole rendere più difficile il lavoro dei giornalisti, se non impossibile. Il testo è stato presentato da Alberto Balboni, con secondo firmatario il capogruppo di FdI Lucio Malan, e si trova in discussione alla Commissione Giustizia del Senato. Per l'Ordine dei giornalisti il disegno di legge è  "una bomba a orologeria piazzata nelle redazioni". Vediamo di cosa si tratta.

Il disegno di legge Balboni sulla diffamazione

Il disegno di legge in questione firmato dal senatore Balboni vuole intervenire in materia "di diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di diffusione e di condanna del querelante nonché di segreto professionale, e disposizioni a tutela del soggetto diffamato". 

Le premesse sono chiare: il ddl vuole assicurare "una celere tutela del soggetto offeso dalla pubblicazione diffamatoria", evitando un presunto "rischioso sconfinamento nell'esercizio del diritto di cronaca spettante al giornalista". Nel concreto, le novità principali che il disegno di legge vorrebbe introdurre sono tre: sanzioni più alte, le rettifiche senza commento e la località del tribunale competente che dovrà giudicare sulla diffamazione.

Le sanzioni vengono decisamente aumentate e portate da 1.000 euro di oggi a 5.000-10.000 euro per la diffamazione "semplice", fino ad arrivare a un minimo di 10mila euro e un massimo di 50mila nel caso in cui l'offesa "consista nell’attribuzione di un fatto determinato falso".

Viene poi modificata l'attribuzione del tribunale competente per giudicare i casi di diffamazione: nella previsione del ddl il processo si svolgerebbe nella città della parte che presenta la querela, la presunta parte offesa, e non in quella in cui è registrata la testata giornalistica coinvolta, come prevede la legge attuale. Così, i giornalisti sarebbero costretti a costose trasferte per potersi difendere in tribunale.

Riguardo le rettifiche, il disegno di legge Balboni le vorrebbe "senza commento, senza risposta e senza titolo". Lo scopo dichiarato è "favorire l'immediata riparazione dell'offesa subita, consentendo alla persona offesa un'effettiva tutela del proprio onore e della propria dignità, senza le lungaggini processuali", si legge nell'introduzione al ddl. La rettifica è un diritto e l'attuale legge prevede che una testata debba pubblicarla, se richiesta. Con le novità del ddl diffamazione le repliche dovranno essere senza commento, risposta e titolo, quindi anche in caso di affermazioni palesemente infondate il giornale non potrebbe confutare e nemmeno analizzare la rettifica che viene fatta e sarebbe obbligato a pubblicare ciò che riceve senza poter dare un contesto ai lettori.

In un'intervista a Repubblica, il presidente dell’Ordine dei giornalisti, Carlo Bartoli, ha definito il ddl "una bomba a orologeria piazzata nelle redazioni".

Tra le altre cose, il provvedimento eliminerebbe definitivamente il carcere per i giornalisti, ma in realtà la norma, l'articolo di una legge del 1948, non viene più applicata da anni, dopo due sentenze della Corte Costituzionale e il pronunciamento della Corte europea dei diritti dell'uomo. 

Che cosa sono le "querele temerarie"

Visto il contenuto della proposta, il ddl Balboni aumenterebbe uno dei problemi irrisolti della professione giornalistica in Italia: le querele temerarie. La questione è dibattuta a livello internazionale e viene chiamata "Slapp", acronimo di "Strategic lawsuit against public participation", cioè "causa strategica contro la partecipazione pubblica".

Le querele temerarie o Slapp sono cause messe in piedi solo allo scopo di intimidire, per ostacolare il lavoro altrui. La maggior parte delle volte riguardano la diffamazione e quindi la professione giornalistica. In queste cause l'accusatore fa valere una palese sproporzione di potere economico rispetto all'accusato, trascinandolo in costosi procedimenti legali. 

L'obiettivo delle querele temerarie non è infatti vincere il processo, ma intimidire e scoraggiare il lavoro della persona accusata. I dati sul fenomeno lo dimostrano: un report curato dall’associazione "Ossigeno per l’informazione" e basato su dati del Ministero della Giustizia, ha stimato che circa il 70 per cento delle querele per diffamazione viene archiviato - e quindi non arriva a processo -, mentre tra quelle che arrivano a processo il 92 per cento (sempre secondo i dati del 2016) non arriva a condanna.

Nonostante l'esito positivo del processo, il problema è che nel frattempo il giornalista è stato costretto a pagare migliaia di euro per difendersi, impiegando tempo e togliendolo al suo lavoro. Se a questo aggiungiamo la situazione economica dei freelance in Italia è chiaro quanto questi procedimenti possano essere efficaci per far desistere un giornalista dal portare avanti un lavoro "scomodo".

I freelance sono infatti la categoria di giornalisti più esposta al fenomeno, per tutele e situazione economica: in media poco più di 15mila euro lordi all'anno, e un singolo articolo può essere pagato anche poche decine di euro. Ecco perché, a volte, può bastare anche una lettera di minacce di voler procedere legalmente per scoraggiare il lavoro di un giornalista.

La Commissione europea ha proposto una direttiva contro le querele temerarie per tutelare giornalisti e attivisti su cui Europarlamento e Consiglio Ue hanno raggiunto un accordo definitivo. In Italia, al contrario, il ddl Balboni non risolverebbe il problema delle querele temerarie, anzi, le incoraggerebbe, stimolando il ricorso a comportamenti di questo tipo.

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