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Dragone senza diritti: la disumanità cinese che l'Italia ignora pur di far cassa

Lavoratori sfruttati, dissenso negato, Tibet e minoranze sotto silenzio: nella celebrazione del patto per la nuova via della Seta i diritti umani rappresentano un'occasione mancata della diplomazia italiana (da Renzi e Gentiloni a Di Maio)

Sergio Mattarella con il presidente della repubblica popolare cinese xi Jinping

Un memorandum d'intesa, ma anche oltre 30 accordi tra imprese e istituti di Cina e Italia. È fissato per sabato a villa Madama il momento clou della visita del presidente cinese Xi Jinping in Italia. Un ruolo strategico è giocato da Cassa Depositi e prestiti con il varo dei cosiddetti "Panda Bond" obbligazioni emesse in valuta cinese - il renmimbi - per sostenere le aziende italiane presenti in Cina e che intendono entrare nel paese asiatico.

Un dragone in casa | Come sarà la nuova via della Seta 

Non solo via della seta quindi, la 'One Belt One Road' che ridisegnerà gli equilibri economici e geopolitici mondiali a fronte di un investimento stimato di almeno 900 miliardi di dollari per nuove infrastrutture terrestri, ferroviare e marittime.

Eppure, c'è un grande assente in questo scambio tra Occidente e Oriente: i diritti umani.

Il memorandum Italia-Cina se da una parte rappresenta una cornice ideale per un incremento delle collaborazioni economiche, ha lasciato in ombra il tema dei diritti sociali e del lavoro. 

Lo ha ricordato lo stesso presidente della Repubblica Sergio Mattarella nelle dichiarazioni alla stampa al termine dell'incontro con il presidente cinese Xi Jinping.

"L'antica Via della Seta - sono state le parole del presidente italiano - fu strumento di conoscenza fra popoli e di condivisione di reciproche scoperte. Anche la Nuova deve essere una strada a doppio senso di percorrenza e lungo di essa devono transitare, oltre alle merci anche idee, talenti, conoscenze, soluzioni lungimiranti a problemi comuni e progetti di futuro".

Il richiamo di Mattarella arriva in modo quanto più solenne: "L'intensificazione dei nostri rapporti economici deve passare attraverso la creazione di un contesto quanto più aperto e trasparente possibile; in cui i soggetti economici dei due Paesi possano agire in maniera equivalente, reciprocamente libera ed equilibrata, con la rimozione di barriere, che ancora si frappongono ai flussi commerciali". 

Mattarella punta il dito sulla tutela della proprietà intellettuale (non staremo qui a parlare degli innumerevoli casi di falsari made in china, ndr) nonché sul rispetto del principi "sociali, economici e ambientali".

Ancora Mattarella auspica un confronto sui diritti umani anche alla luce del mandato italiano nel Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite. Dialogo cui la Cina si dice pronta come assicurato il Presidente della Repubblica Popolare Cinese, Xi Jinping, durante i colloqui al Quirinale.

Eppure, c'è ancora un altro eppure: al di là delle dichiarazioni di facciata poco o nulla si è fatto per cambiare lo status quo. 
Va ricordato che l'Italia ha iniziato a far parte dell’iniziativa cinese già nel 2015 diventando uno dei 57 membri fondatori dell’Asian infrastructure investment bank che finanzia le infrastrutture lungo le nuove vie della seta. E nel 2017 l'ex presidente del Consiglio Paolo Gentiloni è stato l’unico leader del G7 a partecipare al primo forum della Bri, ipotizzando futuri investimenti cinesi a Genova e Trieste.

Come nei giorni scorsi ha giustamente posto l'accento il segretario generale della Cgil Maurizio Landini: "I problemi non sono i dazi, ma dove vanno gli investimenti e quali nuovi rapporti si creano".

"Sarebbe necessario rivendicare che anche in Cina vengano rispettati diritti e forme di lavoro. Il problema non è con chi investo ma chi c'è al centro di questo rapporti, se la persona o il mercato".

Diritti umani, la situazione in Cina

La situazione dei diritti umani nella Repubblica Popolare Cinese continua a subire numerose critiche da parte della maggior parte delle associazioni internazionali che si occupano di diritti umani che riportano numerose testimonianze di abusi ben documentati in violazione delle norme internazionali.  Da un lato il governo ammette le deficienze, dall'altro parla della situazione dei diritti umani come la migliore di tutti i tempi. Di fatto fino al 1949 la Cina era politicamente molto più liberale di oggi. 

Il principale argomento utilizzato dai detentori del potere in Cina è che la situazione dei diritti umani di un dato paese possa essere considerata soltanto tenendo debitamente conto delle peculiari condizioni storiche e nazionali del paese dato e non possa, invece, essere valutata secondo standard appartenenti ad altri paesi o altre culture come quelle occidentali.

Cina, l'Onu: 1 milione musulmani in campi di "rieducazione"

Solo a titolo di esempio le Nazioni Unite hanno denunciato la presenza in Cina di "campi di rieducazione e formazione" nella regione dello Xinjiang vive la principale minoranza di religione islamica, quella degli uiguri. Secondo un ex detenuto, adesso in esilio, che ha parlato con Afp, l'indottrinamento inizia la mattina presto con sessioni di autocritica e canzoni patriottiche, nel corso della giornata gli "studenti" possono parlare soltanto cinese e la giornata si conclude con pasti a base di maiale, carne proibita dalla religione musulmana, in particolare il venerdì, giorno sacro per l'Islam.

Il viceministro degli Esteri cinese, Le Yucheng, ha definito le aree come dei "campus", ma per Omir Bekali, di etnia kazaka, che ha passato alcune settimane a Karamay prima di essere liberato e essere andato in Turchia, i campi hanno l'unico obiettivo di privare i detenuti della loro religione.

Sempre a titolo di esempio l'inviato americano per la libertà religiosa, Sam Brownback, ha chiesto, in una conferenza stampa all'American Institute di Taipei, l'ambasciata Usa de facto a Taiwan, il rilascio dell'attivista taiwanese Lee Ming-che, detenuto in Cina dal 2017 Lee Ming-che è stato condannato a cinque anni di prigione per "sovversione ai poteri dello Stato": sotto accusa il suo sito internet - aperto mentre lavorava e viveva a Taiwan - in cui esprimeva opinioni sulla situazione dei diritti e sulla democrazia per il popolo cinese .
Con il suo arresto, sulla base della legge cinese che regola le attività delle Ong straniere, Pechino ha voluto lanciare un messaggio.

Del resto Amnesty international nel suo ultimo rapporto sulla Cina traccia un quadro inquietante del tutt'altro che celeste impero cinese. Il vincitore del premio Nobel per la pace Liu Xiaobo è morto in carcere, e almeno 10 attivisti sono stati arrestati per aver organizzato commemorazioni. Attivisti e difensori dei diritti umani sono stati arrestati, incriminati e condannati sulla base di accuse vaghe ed eccessivamente generiche mentre il governo ha continuato a redigere e applicare nuove leggi giustificate dalla "sicurezza nazionale".

Secondo i dati di Amnesty la censura su internet è quotidiana, mentre è addirittura aumentata la repressione delle attività religiose al di fuori delle chiese approvate dallo Stato. Ne sono due esempi lampanti le campagne "antiseparatismo" perpetrate nella Regione autonoma dello Xinjiang uiguro e nelle aree popolate da tibetani.

Diritti umani in Cina, l'impero opaco

Migliaia di siti web e social network sono bloccati, tra cui Facebook, Instagram e Twitter: la legge sulla sicurezza informatica costringe le aziende di Internet operanti in Cina a censurare i contenuti pubblicati dagli utenti che "diffondono informazioni che mettano in pericolo la sicurezza nazionale, la sicurezza pubblica e l’ordine sociale, anche con violenza e terrore, false informazioni, pettegolezzi e pornografia".

Il principale servizio di messaggistica cinese WeChat ha introdotto nuove condizioni d’uso per raccogliere un’ampia gamma d’informazioni personali e mettere a disposizione del governo i dati sui suoi oltre 900 milioni di utenti.

Inoltre dal 1° gennaio 2017 le Ong possono operare solo se "registrate" mentre la legge sull’intelligence nazionale ha garantito a tutti gli effetti poteri incontrollati alle istituzioni, mentre le autorità hanno continuato a impiegare forme di detenzione per trattenere avvocati, attivisti e praticanti religiosi anche sei mesi al di fuori del sistema di detenzione ufficiale.

Da luglio 2015 sono state circa 250 le persone vittime della repressione, mentre almeno 11 attivisti sono stati arrestati per aver commemorato la repressione del 1989 in piazza Tiananmen. Indagare sulle condizioni di lavoro nelle fabbriche può costare caro anche ai sindacalisti come agli attivisti per i diritti dei lavoratori

Dal 1° febbraio 2018 lo Stato Cinese ha un ampio controllo su ogni aspetto della pratica religiosa e può monitorare, controllare e potenzialmente punire le pratiche religiose con l’obiettivo di limitare "infiltrazioni ed estremismo".

Tibet, autoimmolazioni per denuncia

Sulla questione Tibet il Relatore speciale delle Nazioni Unite su povertà estrema e diritti umani ha dichiarato che, pur in presenza di risultati generalmente “ragguardevoli” per alleviare la povertà, la situazione dei tibetani e degli uiguri era estremamente problematica e "che la maggior parte delle minoranze etniche in Cina è esposta a gravi ostacoli al godimento dei diritti umani, anche a causa di tassi significativamente più alti di povertà, discriminazione etnica e ricollocazioni forzate". Tashi Wangchuk, un sostenitore dell’educazione tibetana, è in arresto dall’inizio del 2016 per aver concesso un’intervista al New York Times, in cui esprimeva timori sulla graduale estinzione della lingua e della cultura tibetana.

Nepal, tibetano si dà fuoco: è il centesimo dal 2009

Le persone di etnia tibetana hanno continuato a subire discriminazione e limitazioni ai loro diritti alla libertà di religione e credo, d’opinione e d’espressione, di riunione pacifica e di associazione. Oltre cento sono le persone che si sono date fuoco per protestare contro le politiche repressive.

Connesso al tema religioso è la situazione nella regione autonoma dello Xinjiang Uiguro dove oltre ai "centri di rieducazione" sono stati proibiti una vasta gamma di comportamenti etichettati come "estremisti", come indossare il burka o avere una barba "anormale". Inoltre il governo ha diffuso una lista di nomi di persona proibiti, la maggior parte dei quali di origine islamica, e ha imposto di cambiarli a tutti i minori fino ai 16 anni che li portavano.

Ultima, ma non per importanza, il tema della pena di morte. Il governo di Pechino ha continuato a nascondere la reale portata dell’uso della pena capitale nonostante da più di 40 anni gli organi delle Nazioni Unite e la comunità internazionale avessero richiesto una maggiore trasparenza del sistema di giustizia penale.


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