Cronaca

Italiani a mano armata: licenze "facili", dati opachi e norme da rivedere (in fretta)

Quante armi circolano nel nostro Paese? Quali sono i controlli sui possessori di licenze? E si può parlare anche in Italia di "lobby delle armi"? Intervista di Today.it a Giorgio Beretta

Una fiera delle armi sportive e da caccia in Italia ANSA

Quante armi comuni da sparo (fucili e pistole) circolano nel nostro Paese? Quali sono i controlli sui possessori di licenze per uso personale, sportivo e venatorio? E si può parlare anche in Italia di "lobby delle armi"? E' un tema, quello del possesso di armi, di cui si parla molto poco, e sempre solo in concomitanza con tragici fatti di cronaca. Ed è un argomento complesso, su cui alcune forze politiche "giocano" pericolosamente facendo leva sul senso di insicurezza di parte della popolazione. In un Paese in cui omicidi e rapine sono in calo costante da anni, sempre più persone vogliono avere una licenza di porto d'armi. E' il caso di fermarsi a riflettere. E parlarne con chi da una vita studia a fondo la questione.

Giorgio Beretta è analista del commercio internazionale e nazionale di sistemi militari e di armi comuni. Svolge la sua attività di ricerca per l’Osservatorio permanente sulle armi leggere e politiche di sicurezza e difesa (Opal) di Brescia che fa parte della Rete italiana per il disarmo. Ha pubblicato diversi studi, oltre che per l’Osservatorio Opal, anche per l’Osservatorio sul commercio delle armi (Oscar) di Ires Toscana (Istituto di ricerche economiche e sociali) della Cgil di Firenze, per l’Annuario geopolitico della pace di Venezia e numerosi contributi, anche sul rapporto tra finanza e armamenti, per riviste e quotidiani nazionali. L'abbiamo intervistato.

Anche se tutti gli acquisti di armi devono essere denunciati alle questure, è vero che non è chiaro quante siano le armi regolarmente in possesso degli italiani?

Esattamente, ma le dirò di più. Non solo il Viminale non ha mai reso noto il numero di armi legalmente detenute in Italia (le stime variano dai 10 ai 12 milioni), ma non rende pubblico nemmeno il numero complessivo di tutte le licenze rilasciate ed in vigore. Oltre a quelle note, cioè alle licenze di porto d’arma per difesa personale (circa 20mila), per guardie giurate (circa 50mila), per uso venatorio (circa 700mila) e per uso sportivo (oltre 560mila) vi è infatti anche il “nulla osta”: sebbene questa licenza, che permette di detenere lo stesso numero di armi delle altre, sia probabilmente la più diffusa, non è mai stato reso noto il numero di persone a cui è stata rilasciata. Una opacità difficilmente spiegabile considerato che per legge tutte le armi devono essere denunciate e tutte le licenze sono emesse dalle autorità competenti, cioè dalle prefetture e dalle questure.

Questi dati avrebbero un’effettiva utilità o renderli noti potrebbe costituire un problema per la pubblica sicurezza?

Sono dati importanti per accertare diverse questioni. Innanzitutto conoscere il numero di armi regolarmente detenute in Italia, sia quelle che annualmente vengono consegnate per essere distrutte e sia quelle che vengono acquistate permetterebbe di verificare se esiste davvero un fenomeno di mercato e soprattutto quanto sia rilevante la tendenza ad armarsi. In proposito, dovrebbero essere forniti anche i dati specifici per tipologie di armi perché, come noto, mentre calano le vendite di fucili da caccia aumentano, e non se ne capisce la ragione, quelle di fucili semiautomatici tipo AR-15 come quelli più usati nelle stragi negli Stati Uniti. Se poi l’acquisto di questi fucili è fatto da persone che, pur avendo una licenza per uso sportivo, non praticano nemmeno saltuariamente alcuna disciplina, emergerebbe un fenomeno preoccupante di chiara rilevanza per la sicurezza di tutti. Infine, conoscere l’esatto numero dei legali detentori di armi permetterebbe di accertare con precisione il loro tasso di delinquenza rispetto alla popolazione in generale. Sono quindi tutte informazioni estremamente rilevanti per verificare dei fenomeni in atto e anche per valutare l’eventuale necessità di una regolamentazione più rigorosa nel rilascio delle varie licenze.

A fronte di una diminuzione costante delle licenze concesse per difesa personale, negli anni si è assistito a un’esplosione di quelle per uso sportivo: erano poco più di 125mila nel 2002, sono cresciute fino 560mila oggi. E’ in realtà un modo per poter detenere un’arma (o più armi) in casa anche da parte di tutti coloro che non metteranno mai piede in un poligono?

Sembra proprio di sì. Se pensiamo che le due principali associazioni sportive, l’Unione Italiana Tiro a Segno (Uits) e la Federazione Italiana Tiro a Volo (Fitav), dichiarano di non superare nel loro insieme i 100mila tesserati e anche ammettendo che altrettanti siano gli iscritti ad altre associazioni e ai poligoni di tiro privati, resta il fatto che più della metà di coloro che detengono questa licenza non svolgono, nemmeno saltuariamente, alcuna pratica sportiva. Essendo questa licenza, insieme col nulla osta, la più semplice da ottenere è evidente che l’intenzione di gran parte dei richiedenti non è quella di praticare uno sport, bensì di poter avere delle armi a disposizione. E non sono poche visto che la legge prevede che anche con questa licenza si possano detenere 3 armi comuni, 6 armi sportive, 8 armi da collezione ed inoltre 200 cartucce per armi comuni, 1.500 cartucce per fucili da caccia e 5 chili di polveri da caricamento. Il tutto deve essere denunciato, ma rappresenta un piccolo arsenale soprattutto per chi non ha alcuna intenzione di praticare discipline sportive.

Luca Traini, che a Macerata ha sparato circa 30 colpi di pistola ferendo sei persone di colore, aveva un porto d’armi per uso sportivo che si ottiene presentando un certificato di idoneità psicofisica e ha una validità di ben 6 anni. Tra un rinnovo e l’altro non c’è alcun controllo?

Esatto. Vi sono talvolta dei controlli riguardo alle armi denunciate e alla loro custodia, ma non sulla situazione psicologica e men che meno vengono effettuati dei test clinici per verificare l’uso di stupefacenti o di sostanze psicotrope. Se non vi è, infatti, una segnalazione per atti di violenza, per liti o se il medico curante o l’Asl non comunicano alle questure il venir meno delle garanzie psicofisiche, tra il rilascio della licenza e il rinnovo passano appunto sei anni. Un periodo nel quale, come noto, spesso intervengono radicali cambiamenti nella vita di una persona che incidono profondamente anche sul suo stato di salute, le sue condizioni di vita e di tranquillità mentale.

Omicidi, rapine e furti in Italia sono in calo da anni: come si spiega allora secondo lei questa “corsa alle armi”? Quanto incide la percezione di insicurezza su cui giocano pericolosamente alcune forze politiche, soprattutto quando in certi casi di cronaca il tema della legittima difesa viene cavalcato?

E’ proprio questo il punto. Diverse persone pensano di risolvere quello che percepiscono come un problema che riguarda la loro sicurezza facendo ricorso alle armi. Di fatto è un palliativo e anzi il possesso di un’arma può essere controproducente per la propria sicurezza: anche nell’eventualità di doverla impugnare per fronteggiare un ladro armato, il rischio di soccombere aumenta invece di diminuire e quello che nelle intenzioni del malfattore era un mero furto o una rapina può trasformarsi in un attimo in un omicidio. Occorrerebbe invece analizzare i motivi dell’insicurezza e quanto vi sia di reale e di socialmente indotto. Ma soprattutto è fondamentale il ruolo dell’informazione e ancor più della discussione politica che non dovrebbe mai cavalcare le paure e men che meno fomentarle al solo scopo di accrescere il proprio consenso.

La legislazione italiana sul possesso di armi è sostanzialmente permissiva rispetto a quella di altri paesi europei?

Non è possibile passare in rassegna tutti i paesi europei, ma in linea generale va evidenziata una chiara incoerenza nella normativa italiana. Nonostante, come ha recentemente ribadito il Consiglio di Stato, nel nostro ordinamento l’autorizzazione alla detenzione di armi sia da considerarsi eccezionale, la normativa che la regolamenta è invece sostanzialmente permissiva. Oggi, infatti, a qualunque cittadino maggiorenne e incensurato, esente da malattie nervose e psichiche, non alcolista o tossicomane che dimostri di saper maneggiare le armi viene rilasciata, su richiesta alle questure, la licenza per detenere armi, cioè il nulla osta, la licenza per uso venatorio o per uso sportivo. Queste licenze hanno una validità di sei anni e – come ho già detto – permettono di detenere un ampio numero di armi comuni e sportive e finanche un numero illimitato di fucili da caccia e relative munizioni. In tempi di rancore dilagante, di manifestazioni xenofobe e razziste e di pulsioni nazifasciste, per non parlare dei costanti fenomeni di violenza in ambito familiare e della crescente tendenza a farsi giustizia da soli, ritengo che le norme sulla detenzione di armi dovrebbero essere ampiamente riviste e rese più rigorose e restrittive e soprattutto che debbano essere introdotti controlli costanti sui legali detentori di armi. Al riguardo, diverse indicazioni si possono trovare in una nota rilasciata dall’Osservatorio OPAL già l’anno scorso.

Esiste in Italia, in scala minore, una lobby delle armi paragonabile alla famosa National Rifle Association (Nra) degli Stati Uniti?

Sì, in scala minore, ma già c’è. E’ una lobby nata qualche anno fa, su impulso di alcuni gruppi di sedicenti “appassionati di armi”, per contrastare l’introduzione a livello europeo di norme comuni più rigorose sull’accesso e la detenzione di armi. Questa lobby, usando gli stessi metodi di propaganda, anche di tipo denigratorio, impiegati dalla NRA è cresciuta presentandosi come paladina della difesa dei “diritti” dei legali detentori di armi. La loro reale intenzione è quella di introdurre nell’ordinamento nazionale, ma anche europeo, un fantomatico “diritto alle armi”: il possesso di armi viene infatti presentato da questi gruppi come “diritto” e costituirebbe una panacea ai problemi della sicurezza a seguito dell’immigrazione incontrollata e di altri fenomeni di piccola criminalità. E’ evidente la relazione tra queste istanze e quelle promosse in Italia da fazioni e gruppi, anche politici, che cavalcano l’ondata xenofoba e razzista. Non a caso i principali interlocutori politici di questa lobby sono alcuni partiti della destra a cominciare dalla Lega, il cui segretario, Matteo Salvini, ha sottoscritto un impegno con un Comitato nazionale, sostenuto dai maggiori produttori di armi italiani, appunto per “difendere i diritti” dei detentori di armi e rivedere le norme sulla legittima difesa.

La produzione di armi rappresenta una parte rilevante della nostra industria e diverse aziende del settore sono riconosciute a livello internazionale come delle eccellenze del “made in Italy”? Cosa ne pensa?

E’ vero che la produzione di armi, in particolare quella di tipo sportivo, venatorio e da difesa personale, è una realtà consolidata soprattutto in alcuni distretti manifatturieri come la Val Trompia nel bresciano. Ma è altrettanto vero che – a detta delle stesse aziende – la gran parte delle armi prodotte è destinata all’estero soprattutto negli Stati Uniti, ma anche in alcuni paesi europei. Ma non va dimenticato che quasi un quarto dell’esportazione di armi di tipo comune e ancor più quelle di tipo militare è destinata alle forze armate di regimi repressivi, agli apparati di sicurezza di autocrati e di governi illiberali, a compagnie di sicurezza private che operano, non si sa con quali metodi, in zone di forte conflittualità e di guerra. Due esempi: le oltre 11mila armi che nel 2009 furono inviate a Gheddafi sono state tutte saccheggiate dagli insorti in Libia e nessuno sa dove siano finite e quali fazioni, comprese quelle terroristiche, ne stiano facendo uso. E cosa dire delle oltre 30mila pistole inviate agli apparati di sicurezza di Al Sisi in Egitto? L’esportazione di armi, comuni e militari, a regimi autocratici e a paesi in conflitto non risponde affatto ad esigenze di sicurezza comune, ma a logiche di mercato e finisce per sostenere vere e proprie dittature e per alimentare tensioni le cui conseguenze sono sotto gli occhi di tutti. Non so proprio chi possa sentirsi orgoglioso di questa “eccellenza”.


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