Cronaca

“Naufragi di Stato”: gli attivisti si incatenano davanti al Ministero dei Trasporti

Decine di persone hanno protestato a Roma contro le politiche del governo, accusate di aumentare il numero di persone che muoiono in mare nel tentativo di raggiungere l'Europa

La protesta davanti al Ministero dei Trasporti

Stop ai 'Naufragi di Stato'. Decine di attivisti della rete #RestiamoUmani si sono incatenati alla scalinata di ingresso del Ministero dei Trasporti a Roma, indossando giubbotti di salvataggio e salvagenti, per protestare contro le politiche del governo, accusate di aumentare il numero di persone che muoiono in mare nel tentativo di raggiungere l'Europa.

La manifestazione è in disaccordo con le politiche del ministro dell'Interno Matteo Salvini e del ministro dei Trasporti Danilo Toninelli, e in sostegno alle ong, a cui è impedito di lasciare i porti di attracco per andare a soccorrere i migranti in mare e di accedere poi ai porti vicini per metterli in sicurezza.

E' stata istituzionalizzata l'omissione di soccorso, afferma Valentina, della rete #Restiamoumani: "Stanno morendo decine di persone tutti i giorni perché non si può andare a salvare le imbarcazioni che stanno affondando, le persone affogano ed è diventato reato salvargli la vita". "Il diritto alla vita è sacro, è nostro dovere preservarlo, non possiamo permettere che le persone anneghino, è sempre stata la politica dell'Italia e dei marinai".

Proactiva Open Arms: "Politiche inaccettabili"

Veronica Alfonsi di Proactiva Open Arms: "Si continua a pensare che i respingimenti, vietati dalla convenzione di Ginevra, siano l'unica risposta al fenomeno migratorio che andrebbe invece solo regolato e le morti in mare aumentano. Da quando le ong sono state bloccate c'è stato un aumento esponenziale delle morti in mare, questo per noi è inaccettabile".


 

Sea Watch contro le politiche Ue

Numeri impressionati confermati da Giorgia Linardi rappresentante di Sea Watch che chiama in casa anche l'Europa: "Stiamo lasciando la gente annegare nel tratto di mare più popolato a livello di transito di navi e più militarizzato al mondo, ora è il confine più letale al mondo con 1 persone su 7 che a giugno è morta nel tentativo di raggiungere l'Europa e scappare dalla Libia dove invece il sistema messo in atto dall'Ue prevede che queste persone siano riportati, dove vengono sottoposti a un regime di detenzione arbitrario e illimitato".

L'appello di Greenpeace

Una linea sulla quale si trova d'accordo anche Greeenpeace: “Il Mediterraneo è ogni giorno di più teatro di stragi, con centinaia di persone annegate. Riteniamo che lo stato italiano e l’Unione europea siano responsabili di queste morti, che si possono evitare con la presenza di assetti preposti al soccorso, con l’impegno alla creazione di vie legali e sicure per la migrazione, con un’equa distribuzione su scala europea degli sforzi volti a un’adeguata ricezione e accoglienza delle persone in arrivo», dichiarano le attiviste e gli attivisti. Oggi manifestiamo davanti al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti perché bisogna porre subito un freno all’istituzionalizzazione dell’omissione di soccorso e del reato di solidarietà. L’Italia e l’Europa non possono lasciar annegare persone in mare, soprattutto perché l’obbligo di soccorso, sancito dall’articolo 98 della Convenzione Onu sul Diritto del Mare, è il principio chiave del diritto della navigazione e un dovere statuale, messo in atto attraverso la persona del Capitano a bordo della nave chiamata a intervenire, per compiere un imprescindibile atto di solidarietà: tendere una mano, il fondamento della legge tacita dei marinai”.

“L’Italia - continua Greenpeace nel suo comunicato - per molto tempo è stata in prima linea nel Canale di Sicilia, con Guardia Costiera e Marina Militare che hanno salvato centinaia di migliaia di vite. Tuttavia, dall’inizio del 2017 a oggi, stiamo assistendo a una stretta sempre più forte al margine d’azione delle navi civili in mare che soccorrono, testimoniano e denunciano. La Dichiarazione di Malta del febbraio 2017, firmata dall’allora ministro Minniti, ha ufficializzato il supporto europeo alla Libia, concentrando le politiche comuni sul contenimento della migrazione e sull’esternalizzazione delle frontiere, in combinazione con un attacco politico e mediatico alle ong che prestano soccorso in mare. Il ministro Salvini continua dunque nel solco di una linea già ben tracciata dai governi precedenti”.  

Le richieste di Greenpeace 

Secondo l'organizzazione non governativa ambientalista e pacifista, riducendo i soccorsi non si è fatto altro che incrementare le vittime: “Queste politiche e la riduzione dei soccorsi hanno aumentato il numero di persone che annegano nel Mediterraneo centrale: oltre 1000 confermate dall’inizio dell’anno. Il Canale di Sicilia ha raggiunto il drammatico primato di confine più letale al mondo, con una persona su 7 dispersa nel solo mese di giugno (Fonte: UNHCR). Un tragico traguardo, raggiunto per il quinto anno consecutivo, nonostante il calo nel numero di arrivi. L’elevata perdita di vite umane dimostra quanto sia urgente rafforzare le capacità di ricerca e soccorso nella regione e aprire canali legali di arrivo”.

Alle ong attualmente presenti in questa parte di Mediterraneo è invece impedito di lasciare i porti di attracco per andare a soccorrere e di accedere poi a porti ragionevolmente vicini, per mettere in sicurezza le persone tratte in salvo, che non possono essere riportate in Libia. Ricondurre forzosamente in Libia le persone intercettate in mare dagli assetti libici non è una soluzione, ma non è altro che un “respingimento per procura”. La Libia non è un “posto sicuro”, come richiede la normativa sul soccorso rispetto al luogo di sbarco. Per questo l’Italia è già stata condannata dalla Corte europea dei diritti dell'uomo nel 2012 per la pratica dei respingimenti collettivi sotto il regime di Gheddafi (caso Hirsi Jamaa v. Italy).
 
“Non ci riconosciamo in un sistema che finanzia e supporta un ciclo di abusi per cui le persone intercettate in mare, una volta rimandate sulle coste libiche, sono soggette a un regime di detenzione arbitraria e illimitata e condotte in centri di detenzione governativi, quando non vendute a gruppi criminali. In entrambi i casi sono infinite le testimonianze di torture, stupri, estorsioni», proseguono le attiviste e gli attivisti. «I diritti delle persone in movimento sono inalienabili: sono i nostri diritti. Le presenti politiche stanno minacciando i diritti civili, che lo Stato ha il dovere e la responsabilità di proteggere e che non può opprimere, né tantomeno annegare”, concludono.

 
 
Proprio per dare un taglio a questa drammatica situazione, Greenpeace ha stilato una serie di richieste da recapitare al Ministero dei Trasporti, al Ministero dell’Interno e all'Unione europea:

  • l’apertura dei porti italiani alle navi con persone soccorse in mare a bordo, in condizioni di vulnerabilità. Questa chiusura infatti, dopo aver inizialmente riguardato le ong, è stata estesa in questi giorni anche alle navi militari europee e persino alle navi battenti bandiera italiana. Il governo italiano non può impedire il regolare e legale svolgimento delle operazioni di soccorso, chiudendo i propri porti attraverso dichiarazioni d’intenti su Internet, non traducibili in atti ufficiali e non supportate da alcuna base giuridica plausibile.

Chiedono inoltre agli Stati membri dell’Ue e ai loro governi:

  • Di fermare subito il processo in atto di istituzionalizzazione dell’omissione di soccorso, un dovere universale nonché prescritto dalla legge;
  • Che l’Unione si assuma la propria responsabilità in mare, predisponendo assetti con un chiaro mandato di ricerca e soccorso, attraverso una missione Sar europea;
  • Che i rappresentanti dei governi europei trovino soluzioni strutturali e non emergenziali, né tantomeno basate sulla deterrenza - come quelle attuali - ma piuttosto sulla responsabilità di proteggere i diritti, di tutti: attraverso l’istituzione di vie legali e sicure per la migrazione, che si deve accettare come un fatto umano, e come un fondamentale diritto.
     

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