Economia

Gas: lo stato di pre allarme per l'Italia e il piano del governo Draghi per sostituire quello russo

Cosa succede se il gas proveniente dalla Russia dovesse ridursi o bloccarsi? Il primo step di un protocollo di crisi che prevede tre livelli e gli interventi previsti nel nuovo decreto sulla crisi in Ucraina. Tutte le soluzioni per colmare eventuali ammanchi delle forniture

Lavori sul gasdotto Tap, entrato in funzione dallo scorso anno in Puglia. Foto Ansa

Il nostro paese ha un consumo di 70-80 miliardi di metri cubi di gas all'anno e 18 miliardi di metri cubi di stoccaggio. La maggior parte del gas naturale impiegato dall'Italia viene importato: in particolare, circa il 45% del metano proveniente dall'estero arriva dalla Russia. "Non possiamo essere così dipendenti da un solo paese, ne va della nostra libertà", ha ribadito oggi il presidente del Consiglio Mario Draghi nelle comunicazioni del governo al Senato sulla guerra in Ucraina. Ecco perché l'attuale situazione di crisi, causata dal conflitto, rischia di provocare uno scompenso energetico sul territorio nazionale, con conseguenze deleterie per l'economia e per le tasche di ciascuno con l'aumento ulteriore delle bollette. Per il momento il gas russo sta continuando ad arrivare in Europa, ma la situazione potrebbe cambiare da un momento all'altro.

Il piano del governo per sostituire il gas russo

Cosa succede se il gas proveniente dalla Russia dovesse ridursi o bloccarsi? Il governo Draghi ha preparato un piano per far fronte a una possibile crisi energetica. Vediamo quali sono gli interventi previsti, nel dettaglio. Nel decreto legge con le misure urgenti sulla crisi in Ucraina approvato ieri dal Consiglio dei ministri sono previste azioni specifiche nel caso di un'emergenza sui rifornimenti di energia. Il decreto autorizza, anche a scopo preventivo, di anticipare l'adozione di misure per l'aumento dell'offerta e/o riduzione della domanda di gas previste in casi di emergenza, un'eventualità che al momento non corrisponde a quella in cui si trova il nostro paese. La norma, inoltre, rende immediatamente attuabile, se fosse necessario, "la riduzione del consumo di gas delle centrali elettriche oggi attive, attraverso la massimizzazione della produzione da altre fonti e fermo restando il contributo delle energie rinnovabili".

È prevista eventualmente la riduzione del consumo di gas nel settore termoelettrico, che rappresenta una delle principali componenti della domanda media giornaliera di gas. Per rendere concretamente operative le misure, si affidano una serie di compiti a Terna s.p.a., in qualità di gestore della rete di trasmissione nazionale. Cosa significa? Se dovessero scattare i razionamenti del consumo di gas nel settore termoelettrico, Terna dovrà predisporre "un programma di massimizzazione dell'impiego degli impianti di generazione di energia elettrica con potenza termica nominale superiore a 300 megawatt che utilizzino carbone o olio combustibile in condizioni di regolare esercizio": è quanto previsto dalla bozza del decreto legge.

Terna dovrà inviare report settimanali al ministero della transizione ecologica e all'authority dell'energia. Agli impianti si applicheranno limiti europei di emissioni di Co2, meno restrittivi di quelli nazionali. E sarà il ministro della transizione ecologica, Roberto Cingolani, ad adottare con "provvedimenti e atti di indirizzo" misure "finalizzate all'aumento della disponibilità di gas e alla riduzione programmata dei consumi di gas previste dal piano di emergenza, a prescindere dalla dichiarazione del livello di emergenza".

A margine del consiglio Ue sull'energia a Bruxelles, proprio Cingolani ha detto che "l'Italia ha un piano molto chiaro: nel brevissimo termine, nell'ordine di settimane, non c'è nessun problema di approvvigionamento, dal prossimo anno c'è da affrontare il problema dello stoccaggio, ma abbiamo una strategia per il breve, il medio e il lungo termine, per sganciarci dalla dipendenza del gas russo". Il ministro ha precisato che la riduzione degli stock invernali in Italia è in linea con il passato e che l'impegno è ora quello di lavorare per le scorte per l'anno prossimo.

Lo stato di pre allarme per il gas

Insomma: nessun allarme imminente, ma un piano studiato e graduale per compensare l'eventuale riduzione o blocco delle forniture di gas russo. Sta di fatto che sabato scorso dal ministero della transizione ecologica è stato dichiarato lo stato di "pre allarme" per le forniture di gas all'Italia, come conseguenza della guerra in Ucraina. La notizia è stata annunciata sul sito Snam, il principale operatore infrastrutturale in Italia che si occupa anche della sicurezza del gas. Lo stato di pre allarme è solo il primo passaggio in un protocollo di crisi che prevede tre diversi livelli. Il primo riguarda solo un monitoraggio della situazione, mentre il secondo livello è lo stato di allarme vero e proprio, e il terzo è l'emergenza.

Sia nel primo che nel secondo livello, il mercato e le forniture continuano a funzionare normalmente secondo le regole del mercato. Per gli utenti finali, quindi, con lo stato di pre allarme non cambia nulla: è una misura di cautela. Se si dovesse passare all'emergenza, invece, si potrebbe decidere l'utilizzo dello stoccaggio strategico e di limitare la fornitura per alcune imprese previste per legge. Ma è lo scenario peggiore e al momento meno probabile, soprattutto perché la domanda in Italia per il gas è attualmente bassa e l'inverno sta per finire. Il nostro paese sta usando poco gli stoccaggi: andando incontro all'estate, quando non si accenderanno più i riscaldamenti, li useremo ancora meno.

L'aumento della produzione e le forniture dall'Algeria e dall'Azerbaijan

Per far fronte alla possibile emergenza sui rifornimenti di gas, tuttavia, una risposta ulteriore verrebbe dall'aumento della produzione nazionale di gas "più gestibile e meno caro", ha detto pochi giorni fa il premier Mario Draghi. Il decreto del governo della scorsa settimana ha già previsto un incremento di 2,2 miliardi di metri cubi, fino a circa 5 miliardi di metri cubi totali. Ma il gas naturale nel nostro Paese arriva anche dall'Algeria, che è cresciuta del 76% nel 2021 fino a poco meno di un terzo dell'import, e dall'Azerbaijan attraverso il gasdotto Tap, entrato in funzione dallo scorso anno in Puglia dopo anni di contesa con gli ambientalisti locali. Un aiuto per affrontare la crisi potrebbe quindi arrivare dal rafforzamento del corridoio sud e dalla massimizzazione i flussi dai gasdotti non a pieno regime a partire proprio dal Tap. Lo scorso anno ha pesato per circa sette miliardi di metri cubi: potrebbero aumentare di due o tre miliardi entro la fine del 2022.

L'obiettivo è anche quello di aumentare le forniture di gas da vari partner internazionali. Proprio ieri il ministro degli esteri Luigi Di Maio è volato ad Algeri insieme all'amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi, "per rendere operative forniture addizionali". "Tra questi l'Algeria, da sempre fornitore affidabile", ha chiarito Di Maio, aggiungendo che la guerra in Ucraina "ha un impatto sulla sicurezza energetica italiana ed europea". Oltre all'aumento delle forniture di gas, da "rendere operative in tempi rapidi", il ministro ha discusso con il governo di Algeri anche di come "aumentare la collaborazione sulle energie rinnovabili, in campo eolico, nel solare e nell'idrogeno verde, anche adattando le infrastrutture per il gas per trasportare l'idrogeno".

Il ministro Luigi Di Maio e il ministro degli esteri dell'Algeria, Ramtane Lamamra, presso la sede del ministero ad Algeri, 28 febbraio 2022. ANSA/ALESSANDRO DI MEO

Il gnl e le centrali a carbone

Un altro modo per colmare eventuali mancanze nell'immediato potrebbe arrivare dall'uso del gas naturale liquefatto (gnl), che viene trattato per essere stoccato e trasportato più facilmente, per esempio dagli Stati Uniti. Il gnl va riportato alla forma gassosa per essere riutilizzato in modo tradizionale. L'Italia ha però una limitata capacità di rigassificazione e soltanto tre impianti (Panigaglia-La Spezia, Rovigo e Livorno). Draghi ha invitato ad aprire una riflessione su questo, mentre il ministro Cingolani ha parlato della possibilità di ricorrere anche a terminali galleggianti. Staremo a vedere.

Anche le centrali a carbone potrebbero rappresentare un'ulteriore possibile linea di azione emergenziale. Quelle attive e funzionanti nel nostro paese sono al momento cinque: Fiume Santo e Portoscuso (Sardegna), Brindisi, Torrevaldaliga (Civitavecchia) e Fusina (Venezia). Riaprirne altre, però, sarebbe inconciliabile con la transizione ecologica e l'impegno di dismettere o riconvertire tutti questi impianti entro il 2025, come previsto dal Pniec - Piano nazionale integrato energia e clima - e dagli impegni di Glasgow per ridurre l'inquinamento ambientale. Cingolani ha escluso l'ipotesi di nuove centrali a carbone, e lo stesso Draghi ha rimarcato che "la risposta più valida nel lungo periodo sta nel procedere spediti, come stiamo facendo, nello sviluppo delle fonti rinnovabili". 


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