Economia

Perché le pensioni minime non arriveranno mai a 1.000 euro al mese

"È irrealizzabile. Costerebbe 27 miliardi l'anno e l'Inps in pochi anni andrebbe in default" dice il presidente del centro studi e ricerche Itinerari Previdenziali, Alberto Brambilla

Portare le pensioni minime a 1.000 euro al mese? "È irrealizzabile. Costerebbe 27 miliardi l'anno e l'Inps in pochi anni andrebbe in default". A dirlo è il presidente del centro studi e ricerche Itinerari Previdenziali, Alberto Brambilla, nel corso della presentazione del decimo rapporto "Il bilancio del sistema previdenziale italiano. Andamenti finanziari e demografici delle pensioni e dell'assistenza per l'anno 2021". "Se fossero garantiti a tutti 1.000 euro al mese, pur non avendo versato i contributi - aggiunge Brambilla - potrebbero risentirsi quei lavoratori che versando i contributi arrivano a 1000 euro al mese, che netti diventano poi meno".

Il sistema pensionistico italiano regge a patto però di compiere scelte oculate su anticipi ed età di pensionamento e di migliorare la politica industriale del Paese. Queste le conclusioni del decimo Rapporto sul sistema previdenziale italiano redatto dal Centro Studi e Ricerche 'Itinerari Previdenziali' presieduto da Alberto Brambilla e che analizza gli andamenti finanziari e demografici delle pensioni e dell'assistenza per l'anno 2021.

Dopo la discesa imputabile al COVID-19, torna a migliorare il rapporto attivi/pensionati, fondamentale indicatore di tenuta della previdenza italiana: il valore si attesta a quota 1,4215, grazie alla ripresa dell'occupazione, contro 1,384 dell'anno precedente. Seppure in miglioramento, il dato resta dunque piuttosto distante dall'1,5 ritenuta soglia minima necessaria per la stabilità di medio-lungo termine del sistema. Al netto dell'assistenza, spiega lo Studio, il sistema pensionistico risulta in equilibrio ma la sua stabilità rischia di essere minata dalle troppe eccezioni alla riforma Monti-Fornero, dall'incapacità di affrontare adeguatamente l'invecchiamento della forza lavoro e da livelli occupazionali da fanalino di coda in Europa, per quanto in miglioramento.

La riforma delle pensioni deve introdurre un "criterio di flessibilità universale" secondo Cesare Damiano, ex ministro del Lavoro e presidente di `Lavoro e welfare'. "Domani - spiega - si apre il confronto tra Governo e parti sociali sul tema delle pensioni. Il ministro del Lavoro Marina Calderone, dopo le misure-ponte della legge di Bilancio, ha annunciato una riforma `strutturale' del sistema. Questo intervento, che ci auguriamo arrivi a buon fine, è la condizione di partenza per superare la legge Fornero, che non è mai stata cancellata, al di là delle dichiarazioni propagandistiche e delle promesse elettorali". Per Damiano "la chiave di volta è quella di introdurre un criterio universale di flessibilità nell'uscita dal lavoro verso la pensione, mano a mano che, con il passare del tempo si restringe, fino a scomparire, la platea dei lavoratori cosiddetti `retributivi'".

"Il modello di flessibilità - secondo l'ex ministro - deve tener conto, ovviamente, della diversa condizione dei lavori gravosi e usuranti. Accanto a questo si tratta di assicurare ai giovani una pensione di garanzia dignitosa, nonostante la discontinuità del lavoro, valorizzando i loro contributi: ad esempio, attraverso il riconoscimento dei periodi formativi; di riconoscere il lavoro di cura ai fini contributivi, in particolare quello delle donne; infine, di tornare a valorizzare e rilanciare la previdenza complementare, anche attraverso un nuovo periodo di silenzio assenso per l'iscrizione ai Fondi". Conclude Damiano: "Occorrerà anche aprire un confronto sul tema della indicizzazione delle pensioni, dopo il taglio effettuato dall'ultima legge di Bilancio".


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