Economia

Conte deve ribadire: "L'Italia non uscirà dall'euro". Tutti i dubbi che pesano sulla manovra

Per gli analisti di Standard & Poor's la manovra indebolirà la crescita economica: tutti i dubbi che pesano sull'Italia

È arrivato dopo la chiusura della Borsa di New York l'atteso giudizio dell'agenzia di rating Standard Poor's chiamata a giudicare sulla solidità finanziaria dell’Italia anche alla luce delle ultime tensioni con la Commissione Europea dopo lo scontro sulle misure previste dalla manovra 2019 firmata dal governo Conte. 

Standard & Poor's ha confermato il rating dell'Italia a BBB

Standard & Poor's ha confermato il rating dell'Italia a BBB, un livello che resta quindi due gradini al di sopra del temuto "speculative grade", comunemente chiamato "junk" (spazzatura); al tempo stesso l'agenzia ha modificato da "stabile" a "negativo" l'outlook, ovvero le prospettive sulle sue stesse valutazioni di affidabilità creditizia. Mossa che potrebbe preludere a un declassamento nei prossimi mesi.

S&P ritiene che le politiche fiscali del Governo non consentiranno al rapporto debito pil di diminuire. "Il debito pubblico dell'Italia rispetto al pil, a nostro avviso, non continuerà più su una traiettoria discendente". L'avvertimento dell'agenzia statunitense verte in particolare sul rendimento dei titoli di stato: un ulteriore aumento ''potrebbe ridurre la capacità delle banche di finanziare l'economia italiana'' dal momento che gli istituti ''che sono il maggiore creditore del governo, sposterebbero le risorse dal settore privato soprattutto dalle Pmi''

Secondo Standard & Poor's la manovra messa in piedi dal governo Conte ''rischia di indebolire la crescita'' dell'economia italiana e per questo l'agenzia  ha tagliato le stime sul pil del biennio 2018-19, che dal precedente +1,4% per entrambi gli esercizi ora sono a +1,1% sia per quest'anno che per il prossimo. 

"Lo stimolo legato alle misure contenute nella manovra 2019 potrebbe rivelarsi di breve durata - tranne che per il previsto aumento degli investimenti pubblici - soprattutto dal momento che non sembrano esserci ulteriori riforme strutturali in grado di aumentare la crescita dell'economia"

La decisione tuttavia risulta meno grave di quanto si sarebbe potuto temere: diversi osservatori non escludevano che l'agenzia avrebbe proceduto immediatamente a un declassamento di rating.

Conte: "L'Italia non uscirà dall'euro"

"In merito alla decisione di portare in negativo l’outlook italiano e ad alcuni giudizi negativi sulla manovra economica, siamo fiduciosi che mercati e istituzioni internazionali comprenderanno la bontà delle nostre misure". Lo dice il premier Giuseppe Conte alla luce della decisione di Standard & Poor’s lascia invariato il suo rating sul debito dell’Italia.

"Con la manovra economica, evitiamo una stretta recessiva e rilanciamo la crescita grazie agli investimenti e ad un programma di profonde riforme strutturali. L’Italia è saldamente collocata all’interno dell’Unione europea e non c’è alcuna possibilità di uscita dall’Ue o dall’euro-zona".

"Il governo - conclude Conte - è al lavoro per far ripartire il Paese su un sentiero di crescita e in direzione dello sviluppo sostenibile".

Che cosa fanno le agenzie di rating

Le agenzie di rating non fanno altro che analizzare e giudicare la capacità di uno Stato di ripagare il proprio debito esprimendo una loro opinione:  Moody’s, che è una delle più autorevoli agenzie agli occhi degli investitori internazionali, ha avvertito il governo gialloverde e ci si aspettava un declassamento anche da parte dell’altra agenzia di riferimento dei mercati, la S&P Global.

I giudizi delle agenzie si dividono in due grandi categorie, quella di “Investiment Grade” (che va dalla tripla A alla tripla B) e quella di “Non Investiment Grade”, (dalla tripla B in poi). Ovviamente più ci si allontana dalla tripla A, maggiore è il rischio che il soggetto esaminato non ripagherà il proprio debito. E a patire di più quando lo spread sale sono soprattutto le banche perché hanno moltissimi titoli nel loro asset.

Perché è importante che Standard & Poor's non declassi l'Italia

Con la decisione di Standard & Poor's si allontana per ora lo spettro di una raffica di declassamenti sui titoli di Stato dell'Italia tale da espellerli dalla categoria "investment", quella ritenuta più sicura, relegandoli a "speculative", chiamato in gergo "spazzatura" (junck). Uno scenario che potrebbe innescare un potenziale effetto domino di pressioni e rialzi di rendimenti e spread molto più forti di quelli visti finora, con ricadute molto più gravi e dolorose di un disaccordo con l'Ue sui saldi del Bilancio.

Al momento quindi la valutazione di affidabilità creditizia della Penisola è BBB con Sandard & Poor's, con outlook negativo, Baa2 (un gradino sotto) con Moody's, con outlook stabile, e BBB con Fitch, anche qui con outlook negativo. Oggi S&P ha precisato che una bocciatura potrebbe intervenire nell'arco di 24 mesi, Fitch invece ha annunciato che aggiornerà le sue valutazioni entro il primo trimestre del 2019: vuole aspettare la versione definitiva del Bilancio, dopo il passaggio parlamentare.

Debito pubblico, così il Governo chiede aiuto ai risparmiatori italiani 

Se i titoli di Stato italiani finissero fuori dall'investment grade, in base alle regole della Bce una prima ricaduta immediata investirebbe le banche. Non potrebbero più utilizzare le emissioni pubbliche tricolori (se a un rating junk co tutte e tre le agenzie) come garanzie (collateral) per aggiudicarsi i rifinanziamenti della stessa Bce.
In pratica, avrebbero una parte rilevante del loro bilancio esposta su un segmento del tutto inutile per aggiudicarsi i rifinanziamenti cruciali per effettuare poi erogazione di prestiti e operazioni nell'economia.

Le banche italiane potrebbero ancora ottenere rifinaziamenti della Bce, ma fornendo come garanzie altri titoli con rating adeguati. Ovviamente l'inevitabile crollo di valore delle emissioni italiane - finire fori dall'investment grade costringerebbe tutti i fondi di investimento o pensione che hanno vincoli su questo aspetto a vendere i titoli della Penisola - creerebbe subito un effetto meccanico di perdita di valore per chiunque, banca o meno, li possieda. Ma per le banche questo eventuale calo di valore avrebbe un ulteriore risvolto negativo, perché potrebbe risultare di portata tale da compromettere i requisiti patrimoniali prudenziali previsti dalle regole sul settore bancario (Basilea III) forzandole a procedere a ricapitalzzazioni (in condizioni di mercato non certo favorevoli). Di recente uno studio individuava uno spread a 400 punti come soglia che farebbe scattare questo problema.

La seconda grande ricaduta negativa riguarderebbe gli stessi titoli pubblici italiani, a causa del piano di acquisti della Bce (il quantitative easing). L'istituzione attualmente è orientata ad interrompere gli acquisti netti dopo il mese di dicembre.
Tanto per cominciare questo canale si chiuderà da subito per l'Italia se perdesse i requisiti di rating di acquistabilità (almeno un investment grade).

Ma soprattutto a rischio c'è la parte di "trascinamento per inerzia" del Qe: la Bce ha ad oggi rilevato titoli di Stato per 2.138 miliardi, di cui 360 miliardi di titoli pubblici italiani.Questi b ond giungeranno progressivamente a scadenze e l'impegno dell'istituzione, per mantenere condizioni di politica monetaria espansiva, è di rinnovare questi bond (e solo questi) a scadenza, per un periodo che al momento resta indeterminato.

Se i titoli italiani perdessero i rating minimi di ammissibilità sugli acquisti della Bce, questa non potrebbe procedere agli acquisti a scadenza. In questo modo, oltre alle vendite degli operatori privati sui mercati si scaricherebbero anche i Btp non riacquistati dalla Bce, con un potenziale effetto-spirale che potrebbe far salire ulteriormente tassi e spread e costi di rifianziamento del debito pubblico.

L'unica scappatoia a quel punto sarebbe cercare di ottenere una deroga, un "waiver" che tuttavia, sempre in base alle regole della Bce, implica non pochi requisiti. Il più importante è quello di aver chiesto e ottenuto un piano di supporto da parte del fondo salva Stati europeo, l'Esm, che comporterebbe la negoziazione di un programma di correzione assieme al fondo stesso e alla Commissione europea. Con quello la Bce potrebbe anche attivare il suo scudo antispread (l'Omt). Ma questo implicherebbe rivolgersi alle istituzioni Ue con ben altro atteggiamento rispetto a quello attuale. Significherebbe invitare la Troika e negoziare con i tecnici di Ue e Fondo monetario internazionale non sui decimali dei saldi di bilancio, ma su ogni singola misura di politica economica (come è accaduto a Grecia, Portogallo, Irlanda e Cipro).


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