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Bagno di realtà per Meloni a Bruxelles: ecco cosa potrebbe ottenere

Il premier ha bisogno dei fondi europei e di concordare margini di bilancio se vuole alleviare la crisi energetica. E avere dei migranti bloccati in mare mentre incontra i Vertici Ue non la aiuterà

Giorgia Meloni

Nel dirigersi a Bruxelles per il suo primo incontro con i vertici dell'Unione europea, Giorgia Meloni ha promesso che "la voce dell'Italia sarà forte". Ma il presidente del Consiglio italiano non è venuto certo a fare la voce grossa, anzi, è venuta a rassicurare l'Europa sulle sue buone intenzioni e a chiedere soldi, o comunque margine di manovra fiscale, per poter affrontare la crisi energetica, la principale sfida del suo governo.

Quello di oggi sarà più un incontro esplorativo che risolutivo, una formalità per mostrare la buona volontà del nostro governo e che non porterà certo risultati concreti o immediati. Se non forse la promessa di poter utilizzare per la crisi energetica 7,3 miliardi di euro presi da fondi di coesione non spesi dagli Stati dell’Unione e fondi non utilizzati del RepowerEu. Ma si tratta di cose già in pratica concordate dal precedente governo, nulla di nuovo. Per le rivoluzioni, vere o presunte, ci sarà tempo.

I premier italiani che hanno promesso di stravolgere la malconcia Europa non si contano e alla fine nessuno di loro ha mai portato a casa più di qualche piccolo aggiustamento. Tranne forse Giuseppe Conte che contribuì all'approvazione del Recovery Fund, ma erano tempi di crisi e allora furono prese decisioni eccezionali, a cui contribuì non poco l'ok della Germania di Angela Merkel. Non è difficile immaginare che Meloni non farà certo meglio dei suoi predecessori, resta però da capire se deciderà di continuare con la strada della diplomazia o di schierarsi con Polonia e Ungheria e passare a quella dello scontro diretto.

Per il momento il premier ha fatto capire di prediligere la prima. Oggi incontrerà, nell'ordine, i tre presidenti di Parlamento, Commissione e Consiglio europeo: Roberta Metsola, Ursula von der Leyen e Charles Michel. Se con la prima parlerà soprattutto del conflitto in Ucraina e assicurerà il suo supporto a Kiev contro la Russia di Vladimir Putin, con il secondo e soprattutto la terza parlerà di quello che le sta più a cuore: soldi. Perché alla fine di quello si tratta, all'Italia, come a gran parte dei Paesi europei, servono fondi per far fronte alla crisi dell'energia, e nelle nostre casse non ce ne sono più.

"Bruxelles non dovrebbe preoccuparsi di ciò che Roma può fare meglio", ha detto a Bruno Vespa per il suo libro intervista. E di certo trovare soldi pubblici da investire non è certo tra le cose che Roma sa fare meglio, da sempre per quelli andiamo col cappello in mano da quei cattivoni di Bruxelles (e Berlino). L'Italia è il maggior beneficiario dei fondi Ue nell'ambito del NextGenerationEU, il cosiddetto Recovery Fund, e riceverà quasi 70 miliardi di euro in sovvenzioni e più di 120 miliardi in prestiti.

Ma secondo i termini dell'accordo, Bruxelles deve verificare costantemente se lo Stivale sta raggiungendo gli obiettivi di riforma richiesta e se sta spendendo il denaro in modo corretto, prima di erogare la tranche successiva. Se con Mario Dragh nessuno dubitava che sarebbe successo, ora Meloni deve rassicurare dello stesso e magari chiedere piccoli aggiustamenti dove necessario. Il governo si riunirà venerdì per discutere il bilancio italiano quindi il premier vorrà sapere quanto margine di manovra avrà sul deficit e sulla riassegnazione dei fondi europei per la ripresa, in modo da capire quali delle costose promesse elettorali della sua coalizione potrà permettersi di mantenere e quali no.

Con von der Leyen parlerà sicuramente anche della riforma del Patto di Stabilità, qualcosa su cui dovrebbe chiedere consiglio a Matteo Renzi, che da premier fu il primo ad ottenere quella flessibilità che ci permise di scorporare alcune delle spese pubbliche, come quelle per l'accoglienza dei migranti ad esempio, dal conteggio si fini delle regole su deficit. E con von der Leyen e Michel ovviamente parlerà delle misure europee per contenere i prezzi dell'energia, su cui con ogni probabilità resterà sulla linea di Draghi, con la richiesta o di un tetto ai prezzi di importazione o di seguire il Modello Iberico ma da affiancare a uno strumento pubblico europeo, sulla falsariga del Sure, che permetta di condividere i costi degli interventi, non potendoci noi permettere di spendere a questo scopo 200 miliardi come faranno i tedeschi.

Al momento la battaglia di Draghi non ha portato a grandi risultati, soprattutto vista l'opposizione proprio del cancelliere tedesco Olaf Scholz, ma in questo l'Italia non è sola e il finale non è ancora scritto. Ma servirà molta diplomazia. Di certo non aiuta il fatto che mentre Meloni viene a Bruxelles ci siano 179 migranti, di cui 101 minori, bloccati nella nave Humanity 1, battente bandiera tedesca, con il governo che non intende farli sbarcare scatenando le ire della Germania.

Il tema della gestione dei migranti sarà una delle grandi prove che si troverà ad affrontare Meloni, anche perché si collega alle altre sfide in quanto tutto entra nelle trattative globali a Bruxelles. Non si può certo pensare che sull'energia si ottengano aperture mentre sui migranti si possa partire alla carica. Lo dimostra l'Ungheria del suo amico Viktor Orban (quello che tra l'altro blocca il price cap che noi vogliamo) a cui sono stati negati fondi strutturali per non aver risposto ai richiami sullo Stato di diritto. Meloni per ora è solo all'inizio del suo percorso europeo e tra breve capirà, se non lo ha già fatto, che i proclami e le belle parole le serviranno a poco. A Bruxelles quello che conta sono i fatti.


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