Economia

Come fare a meno del petrolio russo, ecco le opzioni sul tavolo di Bruxelles

I Ventisette stanno cercando l’accordo su un nuovo pacchetto di sanzioni che dovrebbe includere il greggio da Mosca, ma tutti gli scenari comportano rischi per le economie europee

Mentre la guerra in Ucraina ha superato il secondo mese, l’Unione europea è impegnata nel capire come fare a meno degli idrocarburi russi. Se non c’è ancora l’intesa sullo stop al gas di Mosca, nel sesto pacchetto di sanzioni dovrebbe invece rientrare l’embargo sul petrolio. Ma quali sono le opzioni a disposizione dei Ventisette per evitare un danno significativo alle proprie economie?

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Le nuove sanzioni contro la Russia di Vladimir Putin dovevano essere pronto già questa settimana, ma pare non si sia ancora raggiunto un accordo tra i governi, con i quali la Commissione starebbe tenendo consultazioni. Reuters spiega quali sono le diverse opzioni sul tavolo: dall’uscita graduale dal petrolio a restrizioni diversificate, passando per un tetto sui prezzi o un conto bloccato dove mettere “in pausa” i pagamenti.

Dei 4,7 milioni di barili di greggio che la Russia esporta ogni giorno, circa la metà va verso l’Ue (della quale ha coperto il 26% del fabbisogno nel 2020). Ecco perché tagliare questa fornitura priverebbe Mosca di un cospicuo flusso di entrate (circa 14 miliardi di euro dall’inizio della guerra), ed ecco perché gli Stati europei stanno considerando strade alternative per le forniture. Soprattutto Germania, Polonia e Paesi Bassi, i maggiori acquirenti del petrolio russo. Naturalmente la misura più diretta e drastica sarebbe un embargo totale sulle importazioni di petrolio dalla Russia, come quello già imposto sul carbone il mese scorso.

Ma non c’è ancora un’intesa unanime delle cancellerie sugli aspetti cruciali, ad esempio quali tipi di petrolio includere o quale periodo concedere per la graduale eliminazione dei contratti esistenti. Il tempismo è fondamentale: se implementare una sanzione del genere tra diversi mesi (ad esempio alla fine dell’anno) permetterebbe alla Russia di continuare “indisturbata” la sua campagna militare, d’altro canto adottare un embargo immediato rischierebbe di colpire duramente le economie europee. Senza considerare il rischio di aumentare i prezzi del petrolio a livello globale, il che giocherebbe comunque a favore di Mosca.

Un’altra opzione potrebbe essere una riduzione graduale dei volumi di greggio importati dalla Russia, che provocherebbe uno shock minore di un embargo totale. Anche perché, ricorda Reuters, circa il 60% delle importazioni di petrolio russo sono avvenute tramite contratti di lungo termine, più difficili da rescindere. C’è anche chi suggerisce di applicare sanzioni diversificate a seconda del metodo di consegna del carburante (via oleodotti o tramite petroliere).

Il commissario al Commercio Valdis Dombrovskis ha ventilato l’introduzione di tariffe sulle importazioni di petrolio, una misura che secondo il think tank Bruegel costringerebbe la Russia a ridurre il prezzo del greggio per mantenerlo competitivo (riducendo quindi le entrate del Cremlino). I proventi dei dazi andrebbero invece a Bruxelles, ma rimarrebbe il rischio di un ulteriore aumento dei prezzi dei carburanti e quindi dei livelli generali dell’inflazione, in un circolo perverso per cui, alla fine, potrebbero essere i consumatori europei (e non Mosca) a pagare la nuova tassa sul petrolio russo.

A ben vedere, in effetti, praticamente tutte le opzioni porterebbero in qualche modo a spirali inflazionistiche, ma l’introduzione di tariffe o tasse sulle importazioni è più problematica da un punto di vista politico perché l’Ue se ne renderebbe direttamente responsabile (si pensi alle contestazioni in Francia dopo la proposta della “carbon tax” sui carburanti). E la Russia potrebbe sempre reagire imponendo delle misure di ritorsione contro i Paesi europei, portando i prezzi del petrolio ancora più in alto.

Un’alternativa potrebbe essere il cosiddetto price cap, cioè fissare un tetto massimo per il prezzo che i Ventisette sono disposti a pagare a Mosca. Questo non rappresenterebbe una violazione dei contratti già in essere se gli Stati smettessero di comprare greggio una volta raggiunta la soglia autoimposta. Ma in mancanza di una diversificazione energetica sufficientemente varia, si rischierebbe di far schizzare le bollette o di causare una stagnazione economica. Per questo Bruxelles sta correndo contro il tempo per trovare fornitori alternativi da cui acquistare petrolio a prezzi moderati.

La prima ministra estone Kaja Kallas, dal canto suo, ha proposto la creazione di un conto di garanzia in cui tenere “ferma” almeno una parte dei pagamenti dell’Ue per le importazioni energetiche da Mosca, che potrebbe essere “sbloccato” dalla Russia solo in una fase successiva (a guerra finita) oppure per determinate voci di spesa, come ad esempio le attrezzature mediche o gli aiuti all’Ucraina per la ricostruzione. In questo modo verrebbe ridotto il flusso di cassa dai Ventisette al Cremlino, senza necessariamente diminuire le importazioni di energia. Ma una mossa del genere potrebbe essere letta come una violazione dei contratti esistenti, cui Mosca potrebbe rispondere con la riduzione o il blocco unilaterale dell’export energetico verso l’Ue.

Intanto, gli Stati membri si stanno muovendo anche individualmente mentre lavorano alla definizione di una strategia comune. È il caso della Germania, che nelle parole del ministro all’Economia Robert Habeck è “molto più vicina all’indipendenza” dal petrolio russo rispetto a prima della guerra, tanto che “un embargo è diventato più gestibile” per il Paese. Stando ai dati forniti da Berlino le importazioni di greggio dalla Russia valgono oggi il 12% del totale nazionale, contro il 35% di due mesi fa. Il problema maggiore resta quello delle raffinerie della Germania orientale, che dipendono dalle importazioni russe per questioni infrastrutturali e contrattuali.


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