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Migranti, la "nuova Libia" che preoccupa Meloni e l'Europa

In Tunisia la crisi politica ed economica è sempre più profonda. E potrebbe portare a nuovi flussi dalle coste nordafricane

Proteste a Tunisi / La Presse

Anche grazie ai finanziamenti di Ue e Italia, le partenze dalle sue coste sono state per lo più bloccate. Ma adesso, il "tappo" della Tunisia potrebbe saltare, inasprendo la pressione migratoria nel Mediterraneo in direzione dell'Europa. Non è certo solo questo aspetto a preoccupare Bruxelles, ma di sicuro è tra i fattori principali che hanno spinto finalmente Bruxelles ad affrontare il dossier tunisino e a inserirlo nell'agenda della riunione dei ministri degli Esteri in corso oggi nella capitale europea. Il Paese nordafricano si trova da tempo in una grave situazione di crisi economica e instabilità politica, e per molti analisti potrebbe essere una "nuova Libia", non solo per quel che riguarda le rotte migratorie.

Il sogno tradito

Dopo la rivoluzione dei Gelsomini, che nel 2011 portò alla caduta del regime dei Ben Ali, la Tunisia era considerata a Bruxelles come il Paese della cosiddetta primavera araba che più sembrava avviato verso un percorso di crescita democratica. Dopo dodici anni, il rischio che si avvii verso un nuovo regime autoritario è sempre più concreto. L'uomo forte di oggi, il presidente Kais Saied, a livello elettorale è debole: al recente referendum per confermare la nuova Costituzione - che toglie poteri ai partiti e restringe gli spazi di dissenso - si sono presentati alle urne solo tre tunisini su dieci, stando alle cifre fornite dal governo. Ma l'affluenza effettiva sarebbe meno della metà di quella dichiarata, secondo le opposizioni, che hanno chiesto a Saied di dimettersi. 

La crisi economica

Alle tensioni politiche si sono presto aggiunte quelle sociali. In Tunisia scarseggiano da mesi beni di prima necessità come il petrolio, lo zucchero, il latte e il burro. I carichi di grano e altri alimenti sono stati spesso rispediti indietro per mancanza di risorse. Il tasso di inflazione viaggia ormai sulla doppia cifra e la disoccupazione giovanile è in sensibile crescita. Per risolvere queste difficoltà economiche, il governo di Tunisi sta negoziando un prestito col Fondo monetario internazionale. Ma perché l'Fmi eroghi i suoi fondi, occorre che Saied si impegni in una serie di riforme, cosa su cui né il presidente, né l'opposizione hanno finora dato segnali incoraggianti. Al contrario, in seguito a una recente stretta sulle autorità locali da parte di Saied, anche la linea di credito attivata dalla Banca mondiale è stata interrotta.  

Il piano lacrime e sangue

L'Italia spinge perché Tunisi accetti le condizioni dell'Fmi e ottenga il prestito. Sulla stessa linea dovrebbe essere l'Unione europea. Di contro, l'opposizione lamenta che il possibile compromesso tra Saied e l'Fmi potrebbe trasformarsi in un'ulteriore colpo per i diritti sociale e dei lavoratori. Il sindacato Ugtt, che inizialmente aveva assecondato l'ascesa di Saied, hanno accusato i funzionari governativi di aver rinnegato un accordo di aumento salariale per i lavoratori del settore pubblico proprio per arrivare a un'intesa con l'Fmi. Tra le altre politiche di austerity sul tavolo dei negoziati per il prestito, ha riportato Al Jazeera, ci sono anche la completa eliminazione dei sussidi per cibo e carburante, il taglio della spesa per la sanità pubblica, l'istruzione e la protezione sociale e la privatizzazione delle principali aziende pubbliche. Un piano lacrime e sangue che ha spinto la popolazione a scendere in piazza, con tanto di repressione autoritaria da parte di Saied.

I migranti

Il peggio, però, è arrivato sul fronte dei migranti. Tutto il mondo è Paese, e così capita che anche in un Paese africano i migranti (africani) diventino un buon capro espiatorio. Il 21 febbraio il presidente Saied si è infatti lanciato in un discorso xenofobo in cui ha parlato di "orde di migranti irregolari provenienti dall'Africa subsahariana" arrivati in Tunisia, portando "la violenza, i crimini e i comportamenti inaccettabili che ne sono derivati". Il capo di Stato l'ha definita una situazione "innaturale", parte di un disegno criminale per "cambiare la composizione demografica" e fare della Tunisia "un altro Stato africano che non appartiene più al mondo arabo e islamico", dato che tali migranti sono spesso di religione cristiana. Parole che hanno innescato un'ondata di violenze contro i migranti subsahariani e spinto diversi Paesi dell'Africa occidentale a organizzare voli di rimpatrio per i cittadini timorosi. Molti dei circa 21 mila migranti dell'Africa subsahariana che vivono in Tunisia si sono ritrovati senza lavoro e senza casa.

I fondi Ue

La Tunisia, in tutto questo, ha benificiato per anni (e continua a beneficiare) di lauti finanziamenti per la gestione dei flussi: riceve infatti decine di milioni di euro dall'Unione europea e dall'Italia per programmi di cooperazione sulla migrazione. L'ultimo memorandum d'intesa tra Roma e Tunisi prevede uno stanziamento di 200 milioni di euro per il periodo 2021-2023, di cui 11 milioni per la cooperazione sulla migrazione.

Di fatto questi aiuti si traducono in finanziamenti per le operazione della guardia costiera tunisina. L'accordo di cooperazione ha due facce: da un lato, ha ridotto al minimo le partenze dalle coste tunisine sui barconi, anche se non sono mancate le tragedie (di recente, alcune ong hanno accusato la guardia costiera tunisina di speronare le imbarcazioni dei migranti). Dall'altro, l'attivismo via mare non ha fatto il pari con i controlli lungo i confini terrestri: e così, i flussi si sono spostati dalla Tunisia verso la Liba, e da qui verso l'Europa. Non a caso, nel 2022, la quota di richiedenti asilo che si dichiaravano tunisini all'arrivo in Italia è stata la più alta della storia recente.

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Anche per via delle pressioni italiane, l'Ue aveva promesso di definire un nuovo piano di finanziamenti per la Tunisia, e il Paese è stato anche inserito in progetti importanti sul fronte energetico e digitale. Ma questi piani potrebbero venire congelati se Saied dovesse continuare a seguire una strada autoritaria.


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