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A Bruxelles vertice Ue a 27, il primo atto del negoziato per la Brexit

Nella seconda metà di giugno, dopo le elezioni anticipate nel Regno Unito, fissate per l’8, inizierà il negoziato diretto con Londra: "people, money, Ireland" le questioni principali. L'Italia mira a trasferire a Milano l'Autorità bancaria europea

BRUXELLES - I capi di Stato e di governo del Consiglio europeo a 27 hanno avuto bisogno di meno di un minuto per approvare all’unanimità le linee guida del negoziato sulla Brexit, presentate dal presidente del Consiglio europeo Donald Tuskprobabilmente uno dei più rapidi e brevi della storia dell’Ue.

Le linee guida negoziali sulla Brexit sono il primo atto per l’avvio del negoziato di divorzio con il Regno Unito.

Per l’Italia ha partecipato il premier Paolo Gentiloni che al termine ha commentato: "Credo che il referendum sulla Brexit sia stato uno dei colpi più duri che l’Ue abbia mai subito, ma paradossalmente proprio per questo c’è stata una reazione, e credo che ci sia oggi la possibilità di utilizzare anche il negoziato con il Regno Unito come un elemento che contribuisce all’unità e al rilancio dell’Unione”. 

I NEGOZIATI CON LONDRA

“People, money, Ireland”. L’impostazione delle linee guida prevede che i negoziati, per ora, siano limitati alla sola questione del “divorzio” di Londra, e a tre solo punti: primo fra tutti la soluzione delle questioni finanziarie create dall’uscita del Regno Unito (“financial settlement”), ovvero i costi della Brexit (si parla di 60 miliardi di euro, ma non ci sono conferme su questa cifra), che dovrà pagare in buona parte Londra, soprattutto per onorare i contratti pluriennali che firmato come Stato membro dell’Ue.

Inoltre i Ventisette chiedono la rimozione dell’incertezza per quanto riguarda le persone e le imprese, e in particolare i diritti dei 3 milioni di cittadini Ue residenti nel Regno Unito dei 2 milioni di cittadini britannici residenti nell’Ue. La questione particolare dell’Irlanda, che si troverà ad avere una frontiera esterna con l’Irlanda del Nord, che è parte del Regno Unito, laddove gli accordi di pace “del Venerdì Santo” fra britannici e irlandesi, dopo decenni di guerra civile e attentati terroristici, prevedono l’assenza di controlli a quella frontiera.

Il negoziato su queste tre questioni – che lo stesso Tusk ha sintetizzato nella sua lettera d’invito ai leader del Ventisette nel trinomio “people, money, Ireland” – dovrà avere conseguito “progressi sufficienti”, a giudizio dei leader, perché si possa passare successivamente (si spera già in autunno) alle nuove trattative per la preparazione dell’accordo commerciale futuro fra il Regno Unito e l’Ue, dopo il divorzio di Londra.

Il secondo atto di questo percorso verso l’accordo di recesso dei britannici sarà l’adozione da parte del Consiglio Affari generali (ovvero i ministri degli Affari europei) nel formato a 27, il 22 maggio prossimo, delle direttive negoziali specifiche, che verranno proposte dalla Commissione europea il 3 maggio.

I tempi saranno comunque molto serrati: nella seconda metà di giugno, dopo le elezioni anticipate nel Regno Unito, fissate per l’8, inizierà il negoziato diretto con Londra; probabilmente – sperano nell’Ue – con la premier Theresa May più capace di tenere sotto controllo i “brexiter” più radicali ed estremisti, se avrà vinto con ampio margine le elezioni e godrà di una investitura popolare diretta.

I negoziati dovranno finire entro ottobre 2018, perché ci sia il tempo per le ratifiche nazionali e per quella del Parlamento europeo entro marzo 2019, scadenza dei due anni fissati dal Trattato Ue per concludere l’accordo di recesso (a meno che i Ventisette, all’unanimità, non decidano di prorogare questo termine). C’è comunque, un’altra scadenza a distanza ridosso di quella di marzo: le elezioni, a maggio o giugno 2019, del nuovo Parlamento europeo, senza gli eurodeputati del Regno Unito.

Tornando a oggi, va sottolineato che nel capitolo sui costi della Brexit c’è anche la parte relativa al negoziato per il trasferimento in altri Stati membri delle due agenzie indipendenti dell’Ue che oggi hanno sede a Londra: l’Eba (Autorità bancaria europea) e l’Ema (l’Agenzia europea del farmaco).

L’Italia è molto interessata a questo particolare aspetto del negoziato perché ha candidato, con qualche speranza di successo, Milano per l’Ema, che delle due agenzie è quella che ha di gran lunga più personale fisso, risorse e potenziale per l’indotto. Proprio per questo, tuttavia, la competizione fra gli Stati membri per ospitare la nuova sede è feroce, con ben venti candidati. I più accreditati, oltre a Milano, sono Stoccolma e Amsterdam, ma ci sono anche, ad esempio, Barcellona, Vienna, Dublino e la stessa Bruxelles. Per l’Eba invece i candidati sono “solo” una decina, fra cui Francoforte e Parigi.


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