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Perché la Cina non dovrebbe farci paura, nonostante tutto

L'ex presidente Hu Jintao allontanato da Presidente Xi Jinping durante la cerimonia di chiusura del congresso del partito comunista cinese a Pechino il 22 ottobre 2022

La Cina come la Russia? Un accordo sul porto di Amburgo come il Nord Stream 2? Domande che stanno mandando in crisi il governo tedesco e mettendo il cancelliere Scholz contro due partiti della coalizione, finalmente uniti, Verdi e Liberali. Oggetto del contendere un accordo sottoscritto un anno fa e in dirittura di arrivo per l’approvazione finale per un ingresso dell’azienda cinese Cosco nella gestione dei container nel porto di Amburgo. Si tratta di un accordo tutto sommato contenuto: l’azienda cinese riceverà il 35% di uno dei terminali del porto gestite dalla tedesca HHLA. Non c’è, quindi, un ingresso nella società che lo gestisce e lo amministra.

Dalla Cancelleria federale dicono sia una normale operazione economica: la Cina è ad oggi il grande partner commerciale tedesco (primo per importazioni, secondo per esportazioni). Dall’altro lato Verdi, Liberali e una buona fetta di opinione pubblica che, invece, ci vedono l’incapacità di Scholz di completare la svolta, la Zeitenwende, annunciata lo scorso febbraio. La Cina è una Russia più grande, dicono, le sue minacce su Taiwan sono concrete, Xi Jinping è solo più scaltro di Putin. Quindi: il progetto di Amburgo non si deve fare e prima iniziamo a ridurre i rapporti con la Cina, meglio è. Un’altra grana per il cancelliere che a inizio novembre intende volare a Pechino in un viaggio di Stato importante quanto delicato per più ragioni.

Che l’infrastruttura sia strategica e che possa mettere in discussione la sicurezza nazionale è qualcosa di difficilmente provabile: si tratta "solo" di compartecipare alla gestione del terminal. Il terreno come pure l’amministrazione e la gestione del porto restano in mano tedesca (e in parte pubblica), ha ripetuto il sindaco di Amburgo, interessato all’accordo per le ricadute economiche e l’occupazione. I critici del progetto possono sempre ricordare che, al di là del valore strategico in sé, il punto è l’incapacità di percepire la minaccia cinese in quanto tale e, dunque, avvertire come grave e inaccettabile ogni aumento della presenza cinese nell’economia tedesca.

È un modo di ragionare, tuttavia, contestabile. Da un lato Scholz si sta impegnando a costruire, tra mille difficoltà e complicazioni, una proposta di Europa sovrana, che produca qui tecnologie indispensabili e strategiche. Che sia motrice della trasformazione energetiche e di un’economia interamente verde. Ma il cancelliere è stato chiaro, anche nel corso del suo ultimo discorso all’ONU: tutto questo non vuol dire che ognuno bada a sé, vale a dire autarchia. Ed ha ragione: pensare di chiudere ulteriormente l’economia mondiale significa avviarsi verso una strada pericolosa, che gli europei conoscono bene in ragione dell’esperienza tra le due guerre mondiali. Più i mercati si chiudono, più la fluidità viene ossificata, più si corre il rischio di fratture gravi, improvvise e ingestibili.

Dopo la sbornia della globalizzazione anni Novanta, nella quale il mondo sembrava unificato dal commercio globale e l’ingresso della Cina nell’Organizzazione mondiale del commercio salutato come l’ultimo passaggio verso la definitiva integrazione delle economie mondiali, oggi anche solo un progetto relativo al porto di Amburgo viene considerato come un pericolo per la sicurezza nazionale.

Nonostante tutto, sarebbe un errore credere che quella che si sta aprendo sia una fase segnata dalle “democrazie contro gli autoritarismi”, anche perché in questa divisione sarebbero ancora tantissime le incognite su dove collocare gran parte del resto del mondo. Lo scenario è, invece, più fluido, come dimostra la prudenza cinese sulla Russia. Se invece non teniamo conto di questa fluidità, stiamo già costruendo i blocchi in competizione fra loro. Il che non significa non tenere in considerazione le tremende violazioni dei diritti umani nello Xinjiang, chiarite non da ultimo nel rapporto presentato lo scorso agosto dall'Onu, o le minacce su Taiwan. Ma alle quali non offriremo nessun tipo di intervento se decidessimo di ridurre drasticamente i nostri rapporti commerciali con la Repubblica popolare cinese. Anzi.

Un mondo sempre più diviso in grandi spazi ostili, in blocchi, è più vicino a una guerra. Ed è anche un mondo nel quale le pretese sulle rivendicazioni territoriali (leggi: Taiwan) non conoscono nessun tipo di freno. Si dirà: anche Putin ha scelto alla fine la guerra ed aveva mandato segnali chiari con la guerra in Georgia e l’annessione della Crimea. L’obiezione, però, non coglie un punto: non è stato il presunto appeasement a spingere Putin alla guerra. Anzi. Putin ha scelto la guerra nonostante il Nord Stream 2 non fosse (ancora) in funzione.

C’è, dunque, una coerenza nell’impostazione del cancelliere federale, rappresentata dalla sovranità europea. Che vuol dire innanzitutto definire i propri interessi. E per l’Europa questo significa un’economia mondiale aperta e un mondo nel quale esercitare il ruolo di mediatrice e di freno nel caso le crisi si radicalizzino. E, dunque, disporre di un efficace deterrente militare: da qui i cento miliardi messi da Scholz sull’esercito e la proposta di un sempre più stretto coordinamento delle forze militari continentali, per evitare una nuova, folle e inutile, corsa al riarmo che significherebbe uno spostamento di risorse dalle politiche sociali a quelle militari.

L’Europa deve attrezzarsi a questa nuova fase: garantire la fluidità e i movimenti dei mercati è nel nostro interesse. Evitiamo di inaugurare una fase di caccia alle streghe: la Cina non sarà un alleato, certo, resta un concorrente. Con il quale, però, è importante mantenere relazioni. Nell'interesse di tutti.


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