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Erdogan può davvero perdere le elezioni?

In un Paese morso dalla crisi economia, il testa a testa tra il presidente uscente e il suo sfidante Kilicdaroglu potrebbe essere nelle mani di due minoranze: i giovani e i curdi

Manifesti elettorali con i volti di Erdogan e Kilicdaroglu a Istanbul - foto LaPresse (AP Photo/Emrah Gurel)

La speranza di un cambiamento di rotta radicale nel modo in cui è governata la Turchia sembra essere nelle mani di due categorie precise di persone: i giovani e i curdi. Queste due minoranze potrebbero essere loro l'ago della bilancia che alla fine deciderà se il Paese continuerà a essere ancora governato, dopo 20 anni, da Recep Tayyip Erdogan, o se il suo principale sfidante, Kemal Kilicdaroglu, riuscirà a strappargli le redini del potere. Tra i due si prospetta un testa a testa, in un Paese in cui la crisi economica sta togliendo consensi al governo in carica, i loro voti quindi saranno fondamentali.

Sono oltre 6 milioni di elettori che voteranno per la prima volta nelle elezioni presidenziali di domenica 14 maggio e al possibile ballottaggio del successivo 28 maggio. Sono tutti giovani che nella loro vita non hanno mai visto un leader diverso da Erdogan. I loro voti, che nel Paese di circa 84 milioni di abitanti, rappresentano circa il 10% dell'elettorato, potrebbero rivelarsi fondamentali per decidere se il suo dominio continuerà per un terzo decennio o terminerà. I sondaggi dicono che la loro preferenza è per il non certo giovanissimo Kilicdaroglu, il leader del Partito Popolare Repubblicano (Chp), che è il candidato di una coalizione di sei partiti che non sempre ha mostrato unità in quest'ultimo anno e mezzo, ma che si è compattata negli ultimi due mesi per battere l'avversario comune: il 'satrapo' Erdogan.

Kilicdaroglu, che ha cinque anni più ddel suo avversario, sta cercando di mostrarsi come l'uomo che potrebbe riportare un senso di libertà e democrazia nel Paese, dopo anni in cui la repressione del dissenso è diventata sempre più stringente. "Non abbiate paura di criticarmi, sono aperto a tutte le vostre critiche", ha detto più volte. In un rapporto del 2022, Human Rights Watch ha dichiarato che ogni anno in Turchia migliaia di persone sono state arrestate e perseguite per post pubblicati sui social media, in genere con l'accusa di diffamazione, insulto al presidente o diffusione di propaganda terroristica. Ankara sostiene che le sue misure sono necessarie per combattere la disinformazione che si diffonde sui media e su Internet, ma per i giovani del Paese, che sono abituati a guardare il mondo attraverso la rete, è un modo per opprimere le loro idee.

Anche per questo vogliono la fine del potere di Erdogan e del suo Partito della Giustizia e dello Sviluppo (Akp). Erdogan ha tradizionalmente attratto il sostegno degli elettori conservatori nelle regioni islamiche dell'Anatolia, mentre una ricerca condotta dalla società di sondaggi Konda ha mostrato che il 57% degli elettori che voteranno per la prima volta si definiscono moderni e solo il 32% conservatori e tradizionalisti. I giovani imputano poi al presidente in carica anche la dura crisi economica che da anni affligge il Paese, dove i prezzi aumentano, l'inflazione cavalca e la svalutazione della lira turca rende sempre meno accessibile l'opzione di formarsi o fare esperienze all'estero.

E a volere la fine del 'regno' di Ergodan sono anche i 'curdi, che paradossalmente furono suoi sostenitori 20 anni fa, quando l'allora astro nascente della politica turca promise la fine del dura nazionalismo kemalista che negava ogni diritto alle minoranze. I curdi, che sono circa un quinto degli 85 milioni di abitanti della nazione, sono stati perseguitati nella Turchia post-ottomana creata da Mustafa Kemal Atatürk, il fondatore del laico Chp ora guidato da Kilicdaroglu. La repubblica moderna, nata proprio cento anni fa su sua spinta, negava l'esistenza stessa della loro comunità, privandola del diritto alla cultura e alla lingua. Quando è salito al potere nel 2002, l'Akp promise un accordo per porre fine alla sanguinosa lotta dei curdi per l'autonomia, e invece il fallimento del processo portò nel 2015 alla ripresa del conflitto armato tra lo Stato e il Pkk, il Partito dei Lavoratori del Kurdistan, un gruppo armato bollato come terrorista da Ankara e dai suoi alleati occidentali.

Anche il principale partito filocurdo della Turchia, il Partito democratico dei popoli (Hdp), ha risentito di questa nuova tensione, accusato di essere legato al Pkk. Pur non avendo voluto sostenere inizialmente Kilicdaroglu, alla fine la formazione politica di sinistra, che è al momento la terza forza più importante del Parlamento, ha chiesto di votare per lui. Per conquistare il suo sostegno così pensante, il leader del Chp ha rinnegato le sue vecchie posizioni oltranziste nei confronti dei curdi e ha promesso una "giustizia indipendente e imparziale" nonché la liberazione di molti prigionieri, tra cui Selahattin Demirtas, leader dellHdp e feroce oppositore di Erdogan, in carcere dal 2016 per "propaganda terroristica".


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