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Berlino prova a dire addio al Made in China

Il ministero dell’Economia tedesco sta studiando un pacchetto di misure per rendere meno attraente il mercato cinese e ridurre così la dipendenza economica dalla Cina

Dopo anni di una florida relazione economica, Berlino vuole allontanarsi da Pechino. Il ministero dell’Economia tedesco sta studiando un pacchetto di misure per rendere meno attraente il mercato cinese e ridurre così la dipendenza economica dalla Cina. La notizia, pubblicata dall’agenzia di stampa Reuters che cita fonti anonime, accende i riflettori sull'intenzione della Germania di avviare un faticoso e lungo processo di separazione economica dal gigante asiatico. E’ stato proprio il conflitto russo in Ucraina a spingere Berlino a rivalutare i rapporti con Pechino. Nell’ultimo decennio parlamentari tedeschi di qualsiasi colore politico hanno avanzato la richiesta di ripensare alla politica tedesca con la Cina, ma senza ottenere un gran successo. 

L’ex cancelliera Angela Merkel, che ha guidato il governo di Berlino per 16 anni fino allo scorso anno, ha tracciato un percorso che privilegia i legami commerciali con Pechino, pur mantenendo alta l’asticella sulle violazioni dei diritti umani o sulle ambizioni geostrategiche della Cina. Il rapporto con Pechino, che Merkel aveva rafforzato in ottica di opportunità di business, adesso vacilla in nome di diversi valori politici.

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Attenzione alla tutela dei diritti umani

Con il governo guidato da Olaf Scholz, che aveva promesso una nuova strategia cinese nel suo accordo di coalizione, qualcosa sta cambiando. Stando all’indiscrezione della Reuters, il dicastero dell’Economia tedesco, guidato dall’ecologista Robert Habeck, vuole introdurre un pacchetto di misure per ridurre o azzerare gli investimenti e le esportazioni dalla Cina, indirizzando i prestiti statali a progetti in altri paesi asiatici. Non è un percorso univoco: Berlino vuole infatti esaminare ed evidentemente ridurre anche gli investimenti tedeschi in Cina. 

Ma l’esecutivo tedesco va oltre. Per porre un limite alla pesante presenza del governo cinese negli affari commerciali esteri, il ministero dell’Economia sta valutando anche l’idea di presentare insieme ai paesi del G7 una denuncia all’Organizzazione mondiale del commercio su quelle che considera pratiche commerciali sleali cinesi. 

Le continue evidenze di violazioni dei diritti umani sono diventate impossibili da ignorare. Il partito della coalizione dei Verdi, responsabile sia dell’economia che del ministero degli Esteri, si dice particolarmente preoccupato per le violazioni dei diritti umani a Taiwan, così come a Hong Kong e nello Xinjiang, per cui anche l’Onu ha confermato che nella regione sono in corso “gravi violazioni dei diritti umani” perpetrate dal governo di Pechino. Anche prima della pubblicazione dell’atteso rapporto delle Nazioni Unite, Berlino aveva adottato provvedimenti per impedire gli investimenti economici con le aziende attive nella regione dello Xinjiang. 

Il colpo economico al settore delle automobili

La decisione del ministero dell’Economia si traduce però in un duro colpo per il settore dell’automotive tedesco, che si affida alla Cina per le importazioni di alcune materie prime, come terre rare, pannelli solari e microchip. 

Secondo le stime di The Economist, Volkswagen, Bmw e Daimler, le tre case automobilistiche tedesche più grandi, e Infineon, produttore di semiconduttori, dipendono dal mercato cinese per la gran parte del loro business. Bosch invece impiega 60.000 persone nel gigante asiatico. Delle 15 società quotate più importanti della Germania, dieci traggono almeno un decimo dei loro ricavi dalla Cina.

L'industria automobilistica tedesca ha bisogno dell'enorme mercato e degli impianti di produzione in Cina ma anche dei semiconduttori e dell'alta tecnologia di Taiwan. E le tensioni Pechino e Taipei preoccupano, e non poco, gli analisti tedeschi.

Secondo Max Zenglein, analista del MERICS di Berlino, i crescenti rischi geopolitici stanno attualmente mostrando in tutta chiarezza quanto siano fragili i processi di produzione globalizzati. "L'invasione russa dell'Ucraina, la dipendenza dell'Europa dall'energia russa e i problemi di approvvigionamento causati dai blocchi in Cina a causa della sua politica zero-Covid hanno già reso l'economia tedesca dolorosamente consapevole di quanto sia dipendente dalla Cina. Se il mondo occidentale si rivoltasse contro la Cina a causa di una guerra per Taiwan, come contro la Russia, l'economia tedesca e globale potrebbe essere colpita duramente". Anche il membro del consiglio di amministrazione della Camera di commercio tedesca in Cina (AHK), Jens Hildebrandt sottolinea l'importanza del mercato cinese per l'economia tedesca.

Il costoso processo di delocalizzazione

La Cina è da sei anni il principale partner commerciale della Germania con un volume di scambi totale di oltre 245 miliardi di euro l’anno scorso, contribuendo ad alimentare la crescita nella più grande economia europea, trainata dalle esportazioni. Al contrario, la Germania è anche il mercato di esportazione più importante per le aziende cinesi all'interno dell'Unione Europea. 

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I dati positivi degli scambi commerciali tra i due paesi non frenano i ministri del governo Scholz, che chiedono alle aziende di diversificare i loro mercati e catene di approvvigionamento lontani dal colosso asiatico. 

Il processo di delocalizzazione in altri paesi è già in atto, ha affermato Wolfgang Niedermark, membro del consiglio dell'Associazione dell'industria tedesca (Bdi) all’Economist. Ma ci sono dei limiti. Uno studio pubblicato lo scorso anni dal Bdi (Responsible Coexistence with Autocracies in Foreign Economic Policy Making) evidenzia la difficoltà per le aziende, in prima linea nella protezione dei diritti umani e nella lotta al cambiamento climatico, di tagliare i legami commerciali con le autocrazie. "Non possiamo difendere i valori democratici se ci indeboliamo economicamente", si legge nel report.

Il governo tedesco tira dritto per la sua strada, perseguendo l’obiettivo di ridurre la dipendenza dalla Cina in settori che non metterebbero a rischio la tenuta economica di Berlino in caso di grave crisi geopolitica, come accaduto con la Russia. Il ministero degli Esteri tedesco svelerà la nuova strategia con il governo cinese alla fine dell'anno, con sei mesi di ritardo. Il cambio di passo di Berlino non piacerà a Pechino, che si augura “che la Germania adotti una politica razionale e pratica, invece di darsi la zappa sui piedi”.


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