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Islanda, l'isola che ha lasciato affondare le banche è in crescita

Mentre sempre più governi in Europa temono il collasso economico, in molti guardano al modello proposto dai cittadini islandesi che, chiamati al voto, si sono espressi contro l'austerità e i piani di salvataggio degli istituti di credito

Mentre in Europa sono sempre di più i governi che temono di dover affrontare un imminente collasso economico, il primo Paese dove si era abbattuta la crisi è tornato a crescere. Lo stesso Wall Street Journal si è riferito all'Islanda come ad “Un'isola in rialzo”. 

La crisi economica islandese - I mali che affliggevano Reykjavik e che avevano portato nel 2008 il Paese sull'orlo del baratro sono noti: da un lato vi era un deficit che superava il 10% del Pil. Dall'altro c'era la necessità di ristrutturare quelle banche “che avevano alimentato con un credito facile l’aumento della domanda interna e avevano gonfiato il loro capitale usando le azioni di una banca per comprare quelle delle altre e aumentarne il valore”, come ci spiega Manuel Castells

Si era quindi messo in moto un meccanismo che già conosciamo: il Fondo Monetario Internazionale aveva concesso all'Islanda un prestito da 2,25 miliardi di euro, in cambio della messa in atto di misure di austerità giudicate necessarie per risanare i conti. Ma è a questo punto che migliaia di persone sono scese in piazza per protestare contro coloro che quella crisi l'avevano provocata.

La rivolta dei cittadini - Nel 2009 è crollato il governo conservatore di Geir Haarde, ed al potere sono saliti i socialdemocratici di Johanna Sigurdardóttir insieme ai verdi. Mentre l'Assemblea Costituente redigeva una nuova Costituzione, i cittadini, chiamati ad esprimersi con due referendum, hanno respinto il piano di salvataggio per le banche e il rimborso del debito estero. Nel 2011 lo stesso ex premier Haarde è stato portato in tribunale per rispondere davanti ai giudici delle sue responsabilità nella crisi del 2008. 

Già alla fine del 2011 iniziavano a vedersi i risultati, con una crescita per l'anno successivo prevista al 3% e un calo della disoccupazione al 5,8%, come riportava France24

Modello per l'Europa? - Mentre continuano ad aumentare i paesi che arrancano a causa della crisi, in molti si chiedono se questa 'rivoluzione islandese' sia esportabile anche negli altri stati europei. La soluzione proposta dall'Islanda è stata infatti acclamata dal popolo degli Indignados e di Occupy, mentre è stata criticata da molti cittadini britannici e olandesi, che avevano messo il proprio denaro proprio in quelle banche islandesi che poi sono fallite.  

“Contrariamente a quello che sta accadendo ora in Europa” spiega il sito dell'emittente francese, “dove il sostegno alle banche è considerato una priorità, l'Islanda ha scelto di lasciarle affondare, rifiutandosi di rimetterle in piedi”.

Il governo di Reykjavik aveva inoltre fatto ricorso ad un intervento che non può essere adottato da Atene e Madrid, cioè la svalutazione della moneta, mossa che gli ha consentito di rilanciare esportazioni e turismo. 

Sempre secondo France24 un'altra differenza sta nel fatto che "la crisi che della zona euro dipende soprattutto dalla mancanza di fiducia dei mercati finanziati nelle capacità dei paesi di poter mettere fine al proprio debito pubblico".

Un esperimento politico e sociale - Gli abitanti di questa piccola isola sono orgogliosi del nuovo modello sociale ed economico che è stato adottato per uscire dalla crisi. “In Europa c'è un conflitto tra la volontà democratica del popolo e gli interessi dei mercati finanziari” ha dichiarato con orgoglio il presidente Olafur Ragnar Grimsson, intervistato da un giornalista della Bbc.  

La crisi finanziaria è stata un'occasione di rilancio. Basti pensare al lavoro fatto per redigere la nuova Costituzione, di fatto avvenuto sotto gli occhi della popolazione grazie all'utilizzo di Internet e di social media quali Facebook e Twitter. 

Ancora non sappiamo se e come l'Europa riuscirà a tirarsi fuori dal baratro economico, ma sicuramente va riconosciuto all'Islanda il merito di aver cercato una soluzione alternativa. “L'Islanda non è un modello, ma una delle possibilità del diverso”, ha scritto Miguel Ángel Sanz Loroño. “Il tentativo del popolo islandese di costruire l'avvenire con la volontà e l'immaginazione ci mostra la luce dell'alternativa”.


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