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Lo spettro del modello di Hong Kong su Taiwan

Nel Libro Bianco, il governo cinese ha messo per iscritto i prossimi obiettivi in merito all’isola. Lyle Goldstein, direttore dell’Asia Engagement at Defense Priorities e docente del Watson China Initiative presso la Brown University, a Today sottolinea la necessità di trovare "una soluzione diplomatica"

La questione taiwanese è in cima alla lista dell’agenda del presidente cinese Xi Jinping. Anticipando i tempi, Pechino ieri ha pubblicato il nuovo Libro Bianco intitolato "La questione di Taiwan e la riunificazione della Cina nella nuova era", traghettata proprio da Xi. 

Cosa c'è dietro la pubblicazione del Libro Bianco

La pubblicazione anticipata dal documento, il terzo nella storia cinese, risponde all'esigenza di mostrare una reazione dura alla visita di Nancy Pelosi a Taiwan ed evidenzia la necessità interna di concedere a Xi, prossimo a un terzo mandato, di mostrarsi durante il XX Congresso del Partito Comunista cinese capace di adottare una rivalutazione della politica di Taiwan.

Il Libro Bianco pubblicato il 10 agosto, poche ore prima dello stop delle esercitazioni cinesi attorno a Taiwan, presenta però delle sostanziali differenze rispetto ai volumi del 1993 e del 2000. Nel recente documento, come sottolineato da alcuni analisti, manca un passaggio chiave: quello in cui la Cina assicurava che non avrebbe inviato sull’isola truppe o personale amministrativo una volta avvenuta la “riunificazione”. 

Nel Libro Bianco, il governo cinese ha messo per iscritto i prossimi - e non nuovi - obiettivi in merito all’isola. La Cina è disposta a dare "ampio spazio" alla "riunificazione pacifica" di Taiwan, ma avverte Taipei che non avrà tolleranza per le "attività separatiste" che puntano all'indipendenza dell'isola dalla Repubblica Popolare Cinese. 

Ma se la “riunificazione” non avviene attraverso mezzi pacifici, Pechino sarà costretta a fare ricorso a "tutte le misure necessarie", anche con l’uso della forza militare. Come si legge nel Libro Bianco, Pechino propone come strumento pacifico per la “riunificazione” dell’isola il modello politico “un paese, due sistemi”, utilizzato per Hong Kong nel 1997, quando l’ex colonia britannica è tornata sotto la sovranità cinese, dopo la firma della dichiarazione sino-britannica nel 1984. 

La proposta di "riunificazione" tramite il modello "un paese, due sistemi" non è nuova, ma da tempo viene bocciata da Taiwan, che non considera appropriato neppure il termine "riunificazione". L’isola, infatti, non è mai stata sotto il controllo della Repubblica Popolare Cinese, e usa il termine "unificazione" per descrivere le ambizioni di Pechino, a cui l'attuale amministrazione guidata da Tsai Ing-wen si oppone. 

Nel modello politico designato dall’allora leader cinese Deng Xiaoping, Hong Kong avrebbe dovuto mantenere un’autonomia politica, giuridica, sociale per almeno 50 anni, quindi fino al 2047. Ma i recenti cambiamenti introdotti da Pechino nella città portuale hanno spinto il governo di Taipei guidato dalla presidente Tsai Ing-wen a non credere alle promesse dei cinesi. 

Margaret Thatcher e Deng Xiaoping alla cerimonia per la dichiarazione congiunta sino-britannica, Pechino 1984 

Nell’ultimo documento pubblicato su Taiwan rimane quindi il riferimento al modello politico “un paese, due sistemi”, ma non vengono definiti i dettagli né tanto meno le garanzie sul grado di autonomia che verrebbe concesso a Taiwan. Ma che, senza ombra di dubbio, sarebbe ulteriormente limitata rispetto a quella riconosciuta all’ex colonia britannica. Questi elementi fanno pensare che Xi si muoverà su questa linea, probabilmente da annunciare durante il XX Congresso. 

Diversi analisti tuttavia ritengono che sia necessario un quadro legislativo per garantire pacificamente una “riunificazione” dell’isola alla Cina, che avverrà con ogni probabilità nei prossimi anni. Questa è la tesi abbracciata anche da Lyle Goldstein, direttore dell’Asia Engagement at Defense Priorities e docente del Watson China Initiative presso la Brown University, che a Today sottolinea la necessità di trovare “una soluzione legislativa, come il modello ‘un paese, due sistemi’, per evitare un conflitto. Molti giornalisti - continua Goldstein - sostengono che il modello politico (un paese, due sistemi, ndr.) sia morto: nonostante quanto accaduto a Hong Kong, che era inevitabile, non trovo ragione di credere che sia un sistema morto, o in alternativa è comunque opportuno individuare una formula legislativa per evitare una guerra”. Ma per i taiwanesi, il modello “un paese, due sistemi” applicato a Hong Kong rappresenta un fallimento e non rientra nell’orizzonte politico auspicato.

Tuttavia, per Goldstein “non ci sono soluzioni militari”. Affermazione che evidenzia come la Cina, che dispone di un’imponente forza militare, possa sconfiggere l’esercito di Taiwan nonostante gli aiuti statunitensi. L’analista inoltre sottolinea come la conformazione dell’isola possa rallentare o rendere più complicati l’arrivo di aiuti dagli Usa. Alla domanda sull’esistenza di una cooperazione militare tra Taiwan e Usa, in particolare durante le recenti esercitazioni cinesi attorno l’isola, Goldstein non esclude che “dietro le quinte” ci sia interazione tra la difesa statunitense e quella taiwanese. “E’ ovvio che se acquisti armamenti, come Taiwan fa con gli Stati Uniti, ci sia comunque un dialogo anche solo per l’addestramento all’uso delle tecnologie militari statunitensi”, ha affermato l’analista. 

Il Taiwan Policy Act

Le capacità difensive di Taipei e i legami tra Usa e Taiwan sono al centro di un disegno di legge bipartisan statunitense: il Taiwan Policy Act, che rafforza e ridefinisce i legami bilaterali stabiliti dal Taiwan Relations Act del 1979.  

Il disegno di legge, il cui testo è ancora al varo dell’amministrazione Biden per evitare una escalation di tensione tra Pechino e Washington, garantirebbe 4,5 miliardi di dollari in assistenza alla sicurezza di Taiwan per i prossimi quattro anni, oltre a designare l’isola come “principale alleato fuori dalla Nato”, inserendo così i rapporti bilaterali all’interno di una formalità diplomatica. Con il Taiwan Policy Act cadrebbero quindi i dubbi sull’”ambiguità strategica statunitense”, posizionando Washington come principale sostenitore militare in caso di attacco cinese all’isola. 

Le minacce cinesi contro Taiwan alimentano gli atteggiamenti anti-cinesi a Capitol Hill, dove la condanna di Pechino è uno dei pochi temi su cui democratici e repubblicani sono d’accordo. Diversi politici americani considerano la Russia e la Cina come avversari degli Stati Uniti, anche se non emergono prove di un’alleanza consolidata tra Mosca e Pechino.

“In caso di conflitto sino statunitense - precisa Goldstein - il rapporto tra Cina e Russia tornerebbe a essere quello degli anni ‘50, quando l’assetto globale era diviso in due blocchi. E questo sarebbe pericoloso per il mondo”, tuona l’analista. “Ci sono diversi elementi che rafforzano la relazione tra Russia e Cina, in particolare sulla visione del mondo (multilaterale, diversa dalla concezione occidentale, ndr.) e la fiducia reciproca, tanto da citare e rafforzare le affermazioni fatte da una o dall’altra parte. I telegiornali cinesi propongono la narrativa russa, così come i media russi riprendono quella cinese”, afferma Goldstein. 

Le manovre e le mosse cinesi su Taiwan stanno diventando la “nuova normalità”, ma il modo a cui i diversi paesi e istituzioni reagiscono a questa nuova realtà è chiaramente ancora in evoluzione.


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