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Obama a tutto campo: "Voglio l'ok all'intervento in Siria"

Tour de force televisivo per il presidente americano: l'opinione pubblica americana (e il Congresso) scettici sull'intervento armato in Siria

Per Barack Obama si profila il difficile compito di far cambiare idea al Congresso e all'opinione pubblica americana, pervasi da grande scetticismo sull'ipotesi di un ricorso alla forza in Siria. Da dove Bashar al Assad ha assicurato che non esistono prove sulla responsabilità del regime del sospetto attacco con armi chimiche dello scorso 21 agosto.

Consapevole che in palio c'è una buona fetta della credibilità degli Stati Uniti e della sua presidenza, Obama "scatenerà" oggi un'offensiva mediatica a tutto tondo per persuadere i deputati repubblicani e democratici, di ritorno a Washington a partire dalle 20, della fondatezza di un nuovo intervento militare americano in Medio Oriente, per punire questa volta il regime di Assad.

Sono ben sei le interviste che il presidente americano registrerà con altrettante emittenti televisive questa sera, prima di rivolgersi agli americani in un discorso alla nazione dalla sala Ovale.

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E proprio questa sera, quasi in contemporanea, sarà trasmessa l'intervista concessa dal presidente siriano alla Cbs in cui afferma che non esistono prove che ci sia il regime siriano dietro il sospetto attacco con armi chimiche del 21 agosto. "Ha negato di avere qualunque cosa a che vedere con questo attacco", ha dichiarato il giornalista Charlie Rose, che ha intervistato Assad a Damasco, su Cbs, "La cosa più importante che ha detto, è che non ci sono prove che 'io abbia utilizzato armi chimiche contro il mio popolo'".

Interpellato sulle dichiarazioni di Assad, il segretario di stato John Kerry, che conclude oggi a Londra una missione diplomatica 'a tamburo battente' per tutta Europa per persuadere gli alleati sull'opportunità di un'azione militare in Siria, ha risposto che "le prove parlano da sole".

Comunque, gli occhi di tutta la comunità internazionale sono ormai rivolti sul Congresso americano, dove l'esito del voto sul ricorso alla forza chiesto dal presidente Obama appare sempre più incerto. I massimi responsabili dell'amministrazione americana hanno moltiplicato gli appelli ai parlamentari nel tentativo di convincerli; oggi devono di nuovo incontrarsi a Capitol Hill per riunioni informative con l'ausilio di video, che mostrano le vittime degli attacchi. Sempre ieri sera, Obama ha raggiunto la residenza del vice presidente Joe Biden per parlare con i senatori repubblicani, secondo la Casa Bianca. Un calendario a dir poco serrato.

In Senato, il dibattito sulla risoluzione che autorizza l'uso della forza, già adottato in commissione, non inizierà formalmente che domani. Un primo voto potrebbe esserci già mercoledì. Attualmente, la risoluzione prevede una durata limitata a sessanta giorni (prorogabili a novanta) e l'interdizione delle truppe di terra per operazioni di combattimento. La Camera dei Rappresentanti non ha annunciato invece un calendario preciso, limitandosi a prevedere "un voto entro due settimane".

VIDEO: ECCO LE PROVE DELL'ATTACCO CHIMICO

L'amministrazione Obama, sia sul fronte interno sia sul panorama internazionale, ha gettato tutte le sue forze in questa battaglia. Ieri il segretario generale della Casa Bianca, Denis McDonough, ha insistito sulla necessità di una reazione limitata. "Ho parlato con decine di deputati questa settimana (...), noi non abbiamo intenzione di perdere il voto" al Congresso, ha indicato. Ma, ha risposto un sostenitore di Obama, il democratico Elijah Cummings, il presidente "deve dimostrare, prima di ogni cosa, che ne va dell'interesse nazionale degli Stati Uniti".

Sul fronte diplomatico, Kerry deve tornare a Washington dopo aver incontrato nella mattinata di oggi a Londra il suo omologo britannico William Hague, il cui governo ha dovuto rinunciare ad associarsi a un intervento armato in Siria, dopo il veto del parlamento. Da parte sua il ministro degli Esteri siriano Walid al Moallem è a Mosca, alleato principale di Damasco. Per tutto il fine settimana, Parigi e Washington hanno manifestato la loro determinazione a sanzionare militarmente il regime siriano, evidenziando un sostegno militare ampio e in crescita a un'azione militare. Kerry ha incontrato a Parigi i suoi omologhi dei Paesi arabi, oltre che il segretario generale della Lega araba, Nabil al Arabi.

Il presidente francese Francois Hollande ha promesso di rivolgersi all'opinione pubblica del suo Paese dopo il voto del Congresso e la pubblicazione del "rapporto degli ispettori" delle Nazioni Unite che hanno indagato sull'attacco del 21 agosto.

RUSSIA

La Russia si dice convinta che una soluzione politica per il conflitto in Siria sia ancora possibile e insiste sulle possibili conseguenze che un intervento militare potrebbe avere: "uno scenario di uso della forza porterebbe a un'orgia di terrorismo in Siria e nei Paesi confinanti", ha detto il ministro degli Esteri Sergey Lavrov dopo un incontro a Mosca con il suo omologo siriano Walid Muallem. Secondo il capo della diplomazia moscovita "sono sempre più numerosi i politici e i governanti che condividono questa nostra valutazione".

La Russia ribadisce che non è ancora troppo tardi per trovare un accordo che porti alla fine del conflitto: "per il momento ci sono ancora possibilità di una soluzione politica", ha detto il ministro degli Esteri, posizione sottoscritta da Muallem.

Per Mosca, dunque, il tempo dei tentativi negoziali per arrivare alla pace in Siria non è ancora scaduto e gli Usa, ha affermato Lavrov, dovrebbero "concentrare proprio su questo i loro sforzi e non sui preparativi di uno scenario bellico".

La posizione russa resta "invariata", ha sottolineato il ministro degli Esteri russo: Mosca "continua con tutte le sue forze il lavoro sulla Siria, anche con l'opposizione, per arrivare alla conferenza di pace Ginevra 2". Secondo Lavrov, l'opposizione accetterà di parteciparvi. Sempre che la parola non passi in tempi brevissimi all'intervento militare.

PAPA FRANCESCO: "LE GUERRE SERVONO SOLO A VENDERE ARMI"

IRAN

Il ministro degli Esteri iraniano ha negato le informazioni secondo le quali il suo paese sarebbe pronto a un sferrare un attacco ritorsivo contro l'ambasciata americana di Baghdad se gli Stati uniti dovessero intervenire militarmente in Siria.

"L'Iran non farà alcuna azine contro il suo alleato e fratello Iraq e credo che queste voci siano fatte circolare ad arte per giustificare attacchi militari", ha detto Mohammad-Javad Zarif, secondo l'agenzia iraniana INSA citata dalla Cnn.

La settimana scorsa un funzionario americano aveva indicato alla Cnn che gli Stati Uniti avevano raccolto informazioni dall'intelligence che indicavano un probabile attacco dell'Iran in Iraq, dove Teheran "ha molti amici sciiti" pronti a mettere in opera la ritorsione.

Zarif, che ha appena compiuto una visita di un giorno in Iraq, ha fatto un appello per una soluzione "pacifica e diplomatica" della crisi siriana: "Non dobbiamo suonare i tamburi di guerra nella regione perché colpire significa solo appiccare un incendio che si propagherebbe in tutti i paesi dell'area".

ISRAELE

Israele ha dispiegato ieri uno scudo antimissile nei pressi di Gerusalemme. Lo ha riferito un corrispondente della France Presse, mentre prosegue l'offensiva diplomatica americana per convincere gli alleati sulla necessità di colpire militarmente la Siria.

Un portavoce militare si è rifiutato di commentare la notizia, limitandosi ad affermare che i "sistemi di difesa sono stati dispiegati in funzione della valutazione della situazione". Alla fine del mese di agosto, batterie dello scudo antimissile Iron Dome erano state dispiegate a Tel-Aviv, in direzione della Siria a nord.

Secondo indiscrezioni di stampa, dalle sei alle sette batterie sarebbero al momento predisposte nel Paese.

G20: NIENTE ACCORDO SULLA CRISI SIRIANA

ONU

L'alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Navi Pillay, ha di nuovo rivolto un appello per negoziati che mettano fine al conflitto siriano, nella convinzione che una "risposta militare rischi di innescare una deflagrazione regionale".

Nel suo discorso di apertura della 24esima sessione del Consiglio dei diritti umani a Ginevra, Pillay ha ritenuto che ci siano "pochi dubbi sull'uso di armi chimiche in Siria, anche se devono essere chiarite tutte le circostanze e tutte le responsabilità". Si tratta a suo giudizio "di uno dei crimini più gravi che possano essere commessi".

"Questa terribile situazione richiede un'azione internazionale, ma una risposta militare o il proseguimento delle forniture di armi rischiano di innescare una deflagrazione regionale", ha detto Pillay, alludendo alla possibilità di attacchi militari americani e francesi in Siria.

"Non c'è un'uscita facile, né una strada evidente per lasciare questo incubo, ad eccezione di negoziati immediati su misure concrete per mettere fine al conflitto. Gli stati, con le Nazioni Unite, devono trovare il modo di portare le parti in conflitto al tavolo dei negoziati e interrompere lo spargimento di sangue", ha affermato l'alto commissario.


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