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Il settore immobiliare cinese è (di nuovo) in crisi

C'è tumulto in Cina. Centinaia di migliaia di persone minacciano di fermare il pagamento delle rate dei mutui alle banche per le unità immobiliari non ancora concluse

Immaginate di investire tutti i vostri risparmi per l’acquisto di una casa, che non vi viene consegnata entro la data prestabilita; o, peggio, immaginate di vedere interrotti i lavori della vostra nuova abitazione da almeno nove mesi. E’ il terremoto che sta colpendo il settore immobiliare cinese e per cui centinaia di cittadini sono scesi in strada, minacciando di non pagare i mutui, come forma di protesta contro l’inadempienza dei colossi del mattone cinese. Anche i piccoli investitori, che hanno puntato sul real estate, si trovano ormai a bocca asciutta.

Il caso Evergrande e lo scoppio della bolla immobiliare

Occorre fare un passo indietro e riportare alla memoria lo scandalo Evergrande, scoppiato nel 2021, quando si temeva un “momento Lehman Brothers” per l’economia cinese. Su Evergrande, il secondo maggiore sviluppatore immobiliare cinese, grava un debito da 305 miliardi di dollari e il destino dell’economia cinese. 

Le sorti del colosso del mattone si decideranno nei prossimi mesi, quando si comprenderà se il gigante immobiliare è riuscito a sopravvivere, nonostante il rifiuto opposto dai creditori cinesi al pagamento dei bond di Evergrande, e il delisting finale dall’Hang Seng - l’indice di Hong Kong - in cui il titolo del colosso è sospeso dallo scorso marzo. Queste condizioni riducono le possibilità di raccogliere capitali per rimborsare i creditori e dunque sopravvivere.

La nuova bolla immobiliare: il default di Evergrande e il lunedì nero delle Borse

Il colosso immobiliare, per risollevarsi dal debito, dovrà quindi soddisfare una serie di condizioni, tra cui la dimostrazione di disporre di risorse sufficienti per operare sul mercato e di un piano di ristrutturazione credibile. L’azienda privata si è rivelata incapace di affrontare una montagna di debiti, mostrando tutti i segnali di un default dei pagamenti alle banche e investitori. 

Una storia di mattoni

Lo scandalo Evergrande mette in luce come la bolla immobiliare cinese stia per scoppiare. Dagli anni ‘90, operai, burocrati, impiegati delle imprese di Stato hanno iniziato a investire, a prezzi del tutto vantaggiosi, nel settore immobiliare. Il real estate è divenuto una fonte di arricchimento, in un paese traghettato dal “socialismo con caratteristiche cinesi”.

Nel giro di compravendite immobiliari, in cui il prezzo della casa cresceva esponenzialmente, i giganti del mattone hanno fatto affari in un modo apparente semplice, che poi si è dimostrato catastrofico. Dalle metropoli di primo livello, fino alle campagne, i colossi del real estate hanno aumentato i loro debiti per acquistare nuovi terreni e investire in altri settori (come quello sanitario, dei media e, persino, quello del calcio), basandosi sulla certezza di ottenere credito infinito dalle banche di Stato. Il denaro proveniente da queste prevendite era un importante canale di finanziamento per gli sviluppatori e sostanzialmente consentiva loro di espandersi ulteriormente, utilizzando nuovo credito.

Pechino però ha posto un freno. Il governo centrale adesso impedisce agli sviluppatori immobiliari e fortemente indebitati di chiedere denaro in prestito alle banche per futuri progetti. La stretta posta recentemente dal governo cinese - nell’apparente tentativo di far sgonfiare la bolla immobiliare - ha permesso il dirottamento di credito verso settori più strategici, come la tecnologia. 

Le proteste dei mutuatari 

La possibilità di un collasso economico e bancario, nonché di una conseguente rabbia sociale è alta. E’ quello che sta accadendo attualmente in diverse città e province cinesi, come nello Henan, dove si stanno registrando i moti di protesta dei mutuatari. Centinaia di migliaia di persone minacciano di fermare il pagamento delle rate dei mutui alle banche per le unità immobiliari non ancora concluse, finché gli sviluppatori non completeranno i progetti. Nel mirino del boicottaggio, secondo il Wall Street Journal, ci sarebbero 300 progetti immobiliari in più di 80 città, per un valore che va dai 150 ai 370 miliardi di dollari.

Una cifra certamente alta, ma relativamente piccola se comparata ai 5,7 mila miliardi di prestiti totali concessi dalle banche cinesi. I progetti immobiliari colpiti dal boicottaggio portano il marchio di dozzine di sviluppatori, comprese società come Evergrande e Kaisa Group - anche quest’ultima inadempiente sulle obbligazioni in dollari - e imprese immobiliari più piccole.

In Cina è comune che l’acquirente paghi in anticipo il 100 per cento dell’immobile ancora non costruito. Per farlo è comune ricorrere a mutui bancari. Secondo una stima di Nomura, però, solo il 60 per cento delle case vendute dagli sviluppatori tra il 2013 e il 2020 è stato consegnato. Mentre si accumulava un ammontare di mutui per 26.300 miliardi di yuan (3.892 miliardi di euro).

Il boicottaggio, se messo in pratica dai cittadini cinesi, rischierebbe di inasprire ulteriormente il rischio di contagio al settore bancario. Gli istituti di credito, in particolare quelli più piccoli, sono potenzialmente a rischio collasso. 

Le soluzioni - a breve termine - di Pechino

Il governo cinese è al lavoro per trovare una soluzione e affrontare il diffuso malcontento dei cittadini. Lo scorso 17 luglio, la China Banking and Insurance Regulatory Commission - l’ente preposto alla supervisione degli istituti di credito cinesi - ha chiesto alle banche di fornire prestito ai colossi immobiliari idonee, in modo che possano completare i progetti incompiuti.

Inoltre, dopo la minaccia di boicottaggio dei mutuatari, i funzionari cinesi stanno considerando una deroga dei pagamenti ai proprietari delle costruzioni ancora incompiute, senza che questi incorrano in sanzioni previste dal credit scoring cinese, un sistema che rende difficile ottenere prestiti bancari in futuro in caso di pregressa insolvenza. Con questa mossa, il governo cinese vuole infondere fiducia nel mercato immobiliare e far guadagnare tempo agli sviluppatori, impegnati a completare i progetti. 

L’intervento del governo cinese è comunque marginale. Secondo una ricerca di Citigroup, la crisi del settore sta facendo contrarre i prezzi di vendita degli immobili nel 2022 in media del 15 per cento rispetto ai tre anni precedenti. 

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La stretta della censura

Al centro della crisi del settore c’è la classe media urbana, che sta riversando tutta la propria rabbia sui social media cinesi, come ByteDance e Weibo. La macchina censoria cinese è al lavoro per cancellare post e video di mutuatari che lanciano petizioni online o richieste di boicottaggio dei pagamenti.  

Quello dei censori attualmente è un lavoro complesso. La crisi del sistema bancario e del settore immobiliare gravano su una popolazione già provata dalle restrizioni anti-Covid e dalle difficoltà economiche. E sui social media fioccano le polemiche in un momento politicamente critico: la Cina si avvicina al XX Congresso del Partito comunista (probabilmente in programma a ottobre), dove Xi Jinping otterrà un terzo mandato presentando dei successi politici. E la gestione del settore immobiliare non rientra tra questi. 


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