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Questi video razzisti girati in Africa danneggiano l'immagine della Cina

Gli attori di queste cartoline animate di auguri recitati in mandarino ricevono 50 centesimi di dollaro al giorno, mentre il prodotto viene venduto online per un valore che va dai 10 ai 70 euro

"Sono un mostro nero con un basso quoziente intellettivo, yeah!", ripetono in coro in cinese un gruppo di bambini africani davanti a una telecamera, istruiti da una voce fuori campo. I piccoli appaiono divertiti e allegri, probabilmente perché non comprendono il senso di quelle parole pronunciate in una lingua che non conoscono (usano la parola cinese "hei gui", che in gergo cinese è utilizzato come il ne**o italiano, ndr).
Questi bimbi sono diventate delle star sui social media cinesi e inconsapevolmente vanno ad alimentare un fenomeno agghiacciante: il mercato dei filmati razzisti su internet. 

Il settore ha proporzioni importanti per una nicchia di mercato in Cina, dove esiste un popolo iper-connesso che coordina la sua vita attraverso delle app sul cellulare. A far luce sul fenomeno è un documentario realizzato dai giornalisti investigativi di BBC Africa Eye, che ha denunciato per la prima volta il business digitale che da anni sta spopolando in Cina.

Il documentario "Racism for sale" fa luce su come i video ritraenti persone africane - uomini, donne e bambini -, che recitano motivetti in cinese, sono richiesti e spesso personalizzati in base alle richieste dei committenti asiatici.

E' doveroso precisare, però, che non tutto il pubblico cinese desidera acquistare o vedere video in cui impotenti comparse vengono ridicolizzate e sfruttate per scopi economici e per razzismo.

 

Il video ribattezzato "The Low IQ Video"

A spingere Runako Celina, la giornalista della BBC, ad andare in profondità del fenomeno insieme al giornalista investigativo malawiano Henry Mhango, è stata la viralità di un video ribattezzato "The Low IQ Video"(Il video del Quoziente intellettivo basso, ndr).
Il filmato, in rete già dal 2020, è stato girato in Malawi, a Njewa, un distretto della capitale Lilongwe, da un cittadino cinese, che ha pagato pochi spiccioli un gruppo di bambini africani per riprenderli mentre intonavano in coro messaggi di augurio o altre frasi richieste dal committente cinese.

La sceneggiatura è quasi sempre la stessa: un grosso spiazzo di terra scura, con alberi e qualche casa in argilla a fare da cornice.
Al centro, un gruppo di bambini o adulti, che spesso indossano abiti in stile cinese, per intonare in mandarino un canzone o una frase da contenuti razzisti. In un video circolato sui social, e preso d'esempio dalle giornalista dell'emittente britannica, si vede un gruppo di adolescenti che esaltano le virtù degli "uomini più belli al mondo, con la pelle gialla e gli occhi scuri". Una chiara esaltazione del popolo cinese.

Pochi centesimi di dollari per assoldare le comparse

Altri filmati disumanizzano i protagonisti di questi video: al centro dell'inquadratura della telecamera compaiono quattro bambini che desiderano una porzione di patatine fritte e ripetono in coro, come un mantra, "vogliamo mangiare". 

Gli attori di queste cartoline animate di auguri recitati in mandarino ricevono 50 centesimi di dollaro al giorno, mentre il prodotto viene venduto online per un valore che va dai 10 ai 70 euro. Il committente invia il suo ordine al produttore dei filmati con il messaggio da recitare e quest'ultimo recluta le comparse per il video.

La stessa giornalista che ha lavorato all'inchiesta per più di un anno, commenta così il fenomeno: "Per me è una specie di zoo umano, reinventato per questa nuova era digitale e socialmente distante, dove gli esseri umani, provenienti da altre parti del mondo, possono osservare l'estraneità e la povertà spesso visibile degli africani dai loro iPhone e dai social media". Il sistema, ha aggiunto, "mette una distanza tra il cliente e i protagonisti del video, tanto da consentire al primo di evitare di porsi domande sulla moralità e sulla regolamentazione di questo commercio".

Un altro aspetto preoccupante per questo fenomeno è il sistema di algoritmi che promuove i video di breve durata. L'introito è enorme per quelle app cinesi (come Douyin, noto in occidente come TikTok) che si basano sulla condivisione di video brevi: questi social media trovano linfa vitale con annunci, suggerimenti e regali in live streaming dati ai vlogger. 

Chi è l'autore dei video

La giornalista Runako Celina ha individuato il produttore di questa serie di filmati proprio in Malawi: il suo nome è Lu Ke, conosciuto a livello locale come "Susu", ed è diventato uno dei registi più prolifici di questo settore. L'uomo ha negato di girare video dai contenuti razzisti, nonostante l'insistenza della giornalista. Anzi, Lu ha affermato che il fenomeno è stato ispirato dal suo paese. Ha spiegato che la Cina sta "aiutando" l'Africa, e quindi i cinesi, come lui, stavano contribuendo all'iniziativa cinese.

Per conoscere più da vicino il fenomeno, altri due giornalisti di France 24 Observers si sono finti dei potenziali clienti e hanno contattato alcuni dei venditori su WeChat. Uno di questi è esposto la sua strategia di mercato davanti a una telecamera nascosta dei reporter: "Non avere mai pietà di loro, è così che devi trattare i neri per fare affari". 

La risposta del governo cinese

Sebbene si sappia assai poco sul volume d’affari generato da questo tipo di video, l’inchiesta è riuscita a sollevare il coperchio di un vaso di pandora. L'indignazione è emersa tra i parenti delle persone vittime del fenomeno. La nonna di un bimbo-attore ha definito "sfruttamento della povertà" il fenomeno.

Il documentario "Racism for sale" è riuscito a stimolare una debole risposta dalle autorità africane. La ministra degli Esteri del Malawi, Nancy Tembo, si è detta "disgustata per la mancanza di rispetto" e ha chiesto a Pechino di prendere provvedimenti concreti per porre fino al fenomeno. "Ci ha offeso come governo: le persone si siedono e pianificano come insultarci e mancarci di rispetto", ha detto.

La narrativa ufficiale cinese racconta come la Cina abbia una "politica di tolleranza zero nei confronti della discriminazione razziale" e per cui, in alcuni casi, vengono applicate anche pene detentive. Pechino ha promesso di "reprimere qualsiasi comportamento e discriminazione razziale che emerge sul web", ha detto il direttore generale del Dipartimento degli affari africani del ministero degli Esteri Wu Peng, durante una visita, lo scorso 14 giugno, in Malawi. 

Wu è infatti impegnato in un tour africano per approfondire lo scambio amichevole e la cooperazione tra Cina e paesi africani. Stephen Chan, professore di politica e relazioni internazionali alla School of Oriental and African Studies di Londra, ha affermato che “la natura completamente volgare di questi video ha colto di sorpresa anche le autorità cinesi”.