Opinioni

Carri armati all'Ucraina, piccolo capolavoro di Scholz. Basterà?

Un carro armato Leopard. Foto Ansa/Epa

Undici mesi dopo l’inizio della guerra russa in Ucraina, Europa e Stati Uniti superano un’altra linea rossa e inviano a Kyïv carri da combattimento. La Germania invierà i Leopardgli americani gli Abrams. “Finalmente”: questa è la reazione di quanti si dicono convinti che i carri cambieranno l’equilibrio della guerra e segneranno la definitiva vittoria delle forze ucraine. In effetti, il passaggio è a suo modo storico, sebbene se ne parlasse da tempo. È dalla fine dell’autunno che la situazione al fronte si è fatta quantomeno complessa per l’esercito ucraino e le cancellerie occidentali hanno dovuto prenderne atto. In estate si raccontava che l’esercito russo era prossimo allo sfaldamento, poi le cose si sono messe diversamente e la vera preoccupazione è diventata quella di un contrattacco russo. Da qui l’insistenza sui carri.

Berlino ha prima accettato di inviare i Marder, carri da difesa, poi, dopo una lunga discussione con gli Stati Uniti, anche i Leopard, carri da combattimento. È una gestione “politica” della guerra, lo ha ribadito ieri al Bundestag Olaf Scholz. Si reagisce in base alle esigenze sul campo e all’evolversi delle operazioni militari, con prudenza e, soprattutto, di concerto con gli alleati: le difese antiaeree servivano in un a prima fase, poi era necessario concentrarsi sugli attacchi dei droni, poi sostenere l’artiglieria ucraina per il recupero dei territori. Tutto questo senza diventare forze belligeranti, senza entrare cioè direttamente in guerra. Nemmeno adesso con l'invio dei Leopard.

Ecco perché alla fine a Ramstein lo scorso 20 gennaio i tedeschi sono stati inflessibili e poco c’entra il cambio al vertice del ministero della difesa. La decisione di inviare carri deve essere collettiva: Berlino e Washington partecipano allo stesso modo alle operazioni e, dunque, insieme sostengono l’Ucraina e insieme proveranno a definire la pace. È questo il punto che Scholz aveva bisogno di chiarire: l’Europa non può accettare di essere solo il deposito militare per l’Ucraina, lasciando l’iniziativa diplomatica agli statunitensi. Scholz ha dunque conseguito un piccolo capolavoro diplomatico: la notizia non è tanto che Berlino invii i Leopard ma che anche Washington sia stata coinvolta. Altro che temporeggiatore, pavido o preoccupato dal passato tedesco: il cancelliere concretizza ulteriormente la svolta annunciata il 27 febbraio scorso con il discorso sulla Zeitenwende e riesce a tenere (per ora) unita l’Europa, con i paesi a Est che comprensibilmente chiedono un atteggiamento più deciso, e a conferirle anche uno spessore internazionale. Fatto che ridimensiona anche la decisione britannica di fare da soli: più uno spot pro Brexit che un vero aiuto all’Ucraina, perché il problema non era l’indisponibilità tedesca, ma la cornice internazionale nella quale tutti gli attori si ritrovavano. Basterà? O meglio: i Leopard costituiranno davvero la svolta della guerra?

Qui gli esperti militari si dividono. Secondo alcuni sì: di fronte ai carri occidentali l’esercito russo andrà in crisi. E tuttavia, ammesso che sia vero, occorreranno mesi prima che i Leopard siano operativi, poco meno di un anno per gli Abrams. Tempo necessario per continuare a fare pressioni su Putin e spingerlo ad un accordo? Forse. Ma, almeno nell’immediato, potrebbe non rivelarsi una mossa decisiva. Tant’è che, esaurita la discussione sui carri armati (sebbene, c’è da aspettarselo, non mancheranno quelle sulla tipologia di Leopard da inviare), si apre quella sulle forze aeree. La notizia girà da settimane e ieri l’ex ambasciatore ucraino a Berlino, Andrij Melnyk, ha detto senza giri di parole che servono F-16 e F-35. Richiesta che, oltre a segnalare che le difficoltà sul campo sono più gravi di quello che si racconta, potrebbe aprire un nuovo fronte polemico in Occidente. Sempre ieri al Bundestag Scholz si è affrettato a sottolineare che di aerei nemmeno si parla, segnando una nuova linea rossa. Il punto è: fino a quando sarà rispettata? 

Perché, qui il vero limite, inevitabile, della strategia di Scholz, se si reagisce alla situazione sul campo, se il sostegno all’Ucraina è funzionale all’evolversi della situazione, allora vere e proprie linee rosse non esistono. Esiste tuttalpiù un metodo, vale a dire concordare ogni decisione con gli Alleati, che poi significa evitare che qualcuno faccia di testa sua, persino tra i paesi dell’Unione europea. E, soprattutto, che qualche iniziativa di singoli Stati possa provocare danni irreparabili. Ma oltre a questo, una strategia sembra non esserci. La politica tedesca è certamente e comprensibilmente prudente, si limita ad essere reattiva ma appare per ora poco capace di pensare a un obiettivo e a perseguirlo. Una politica troppo “passiva”.

È probabile che il cancelliere federale si prepari anche a una, necessariamente segreta e lontana dalle telecamere, attività diplomatica, dopo aver mostrato che Europa e Stati Uniti sono decisi e compatti nel continuare a sostenere l’Ucraina. Una simile fase non può che avvenire rigorosamente nel segreto più assoluto, mentre di fatto la guerra prosegue. C’è da augurarselo. Perché altrimenti nelle prossime settimane, quando si entrerà nel secondo anno di guerra, potremmo avvicinarci pericolosamente a una nuova fase, ancora più devastante della prima.

Perché la Germania si è convinta a inviare carri armati in Ucraina 


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