Opinioni

Vi spiego perché a Salvini ora serve un nuovo partito

Matteo Salvini (LaPresse)

Prima o poi doveva accadere. Nella Lega sono ormai in molti, sia sui territori che tra gli eletti, a voler mettere la parola fine sulla leadership di Matteo Salvini. Sono in molti a essere stanchi di essere rappresentati da una specie di influencer che passa le giornate a vessare ciò che resta dell'elettorato con la festa del papà, gli autovelox, Biancaneve, Cenerentola, la farina di grillo e il famigerato ponte sullo Stretto, che difficilmente vedrà mai la luce. A poco sono servite le rassicurazioni del vicepremier sulla (remota) possibilità di centrare il 10 per cento alle prossime elezioni europee: in un lungo e movimentato consiglio federale il capo del Carroccio è stato accerchiato dai generali del partito che gli hanno di fatto imposto la convocazione del congresso, che si svolgerà tra l'estate e l'autunno. Salvini subirà anche un commissariamento di fatto, con Luca Zaia e Massimiliano Fredriga che seguiranno la complicazione del programma e di fatto detteranno la linea politica alla Lega fino all'attesa conta delle tessere.

Lega al bivio, cosa può (e non può) fare Salvini

Per la prima volta, da quando l'ex "capitano" è alla guida del partito, non ne ha più il totale controllo. A pesare è principalmente un ormai costante crollo dei consensi, un trend negativo che - tra accelerazioni e rallentamenti - non si è mai invertito sin da quei ruggenti giorni del Papeete Beach, che segnarono l'inizio della sua fine politica. 

Altri tempi, altri numeri: nel 2019, tre anni dopo questa foto scattata sempre al Papeete, dall'alto di sondaggi che lo vedevano al 37 per cento, l'allora vicepremier del primo governo guidato da Giuseppe Conte, come un Icaro svolazzante, chiese i "pieni poteri" e precipitò malamente senza riuscire più a riprendere quota. Se per Matteo Renzi fu fatale quel referendum del 2016 e quella promessa mai mantenuta di "lasciare la politica" in caso di sconfitta, a macchiare inesorabilmente l'immagine del Matteo verde furono quegli scatti tra cubiste in bikini e bicchieri di mojito, una volgare opulenza del potere che non piacque neanche ai suoi elettori, che iniziarono la massiccia migrazione verso Fratelli d'Italia, portando il partito di Giorgia Meloni ai numeri che conosciamo. Il numero del sindaco di Przemysl, che anni dopo lo umiliò sventolandogli sotto il naso quella maglietta bianca con su stampata la faccia di Putin.

Anche la metamorfosi della Lega, da partito a forte vocazione territoriale a forza populista e di estrema destra, è motivo di rottura tra Salvini e i suoi: fino a quando il gioco "dopava" i consensi, proiettando il Carroccio tra i partiti più votati d'Europa, i dirigenti si turavano il naso e facevano buon viso a cattivo gioco. Ora i vari Zaia, Fredriga, Molinari, Romeo e Fontana disertano in massa la convention dell'ultradestra europea e provano a fare muro contro la candidatura del generale Roberto Vannacci, che il leader vorrebbe in campo sognando un più due per cento che lo salverebbe da un'annunciata disfatta. 

L'operazione "Italia sicura"

Matteo Salvini sa che i prossimi mesi saranno decisivi; spera ancora di centrare un risultato - il fatidico 10 per cento alle elezioni europee del prossimo giugno - che gli consentirebbero di tenere il partito e magari far partire delle "purghe staliniane" contro i ribelli; ma sa anche che l'obiettivo non è così alla portata e cerca una via di fuga. Il suo piano ricorda, anche in questo caso, quello dell'altro Matteo già citato: il leader avrebbe infatti depositato da un notaio il logo "Italia Sicura", un partitino "arca di Noè" per lui e i suoi fedelissimi su cui salire in caso di un diluvio universale a giugno. Un'operazione che non brilla di originalità e non promette neanche bene: con Italia Viva inchiodata tra il 2 e il 3 per cento (lontanissima dalla soglia di sbarramento delle elezioni europee) e più simile a una battuta di Riccardo Pirrone, il talentuoso social media manager della più nota agenzia di onoranze funebri del Paese, Italia Sicura sa tanto di cantiere abusivo su un cavalcavia della Salerno - Reggio Calabria. E chissà se la comune amicizia dei due mattei con Denis Verdini, di cui il leghista è quasi cognato, c'entri qualcosa con le comuni strategie kamikaze.

L'isolamento nel governo

E se nel partito tira una brutta aria, anche nel governo la posizione del capo del Carroccio non è certo rosea. Dopo le parole ambigue sulle elezioni in Russia - subito sconfessate dall'altro vicepremier e ministro degli esteri, Antonio Tajani - la sua assenza al fianco di Giorgia Meloni durante le comunicazioni della presidente del Consiglio alla vigilia del Consiglio Ue, non è passata inosservata. La tattica del Salvini "di lotta e di governo" (mi perdonino i reduci di altre stagioni politiche di ben altro spessore) non funziona più. E ora un po' tutti vogliono liberarsi di lui.


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