Opinioni

Uccisa a martellate: la psicologa e l'assurdità del processo su Tik Tok

Il femminicidio di Alessandra Matteuzzi? Causato dalla continua manipolazione di lei nei confronti di Giovanni Padovani, che l’ha reso il mostro che l’ha uccisa. Questo in soldoni il riassunto di due video pubblicati su Tik Tok a fine gennaio da Manuela Bargnesi, psicologa di Padovani e consulente di parte nel processo per il femminicidio di Alessandra Matteuzzi. È il 20 gennaio 2024, circa tre settimane prima della sentenza di condanna per il femminicidio di Alessandra Matteuzzi, e su Tik Tok la psicologa Manuela Bargnesi, pubblica un video raccontando quella che definisce “la verità di una relazione tossica” e “la storia inedita che sicuramente non sentirete dai giornali”.

Uccisa a martellate in testa

“Raccontiamo come sono andati realmente i fatti - queste le parole con cui apre il video Bargnesi - Giovanni Padovani era entrato in una relazione tossica, una di quelle relazioni che io chiamo relazione abusante. Non posso raccontare tutti i dettagli in questa sede, ho ascoltato delle cose terribili, sono accadute delle cose orribili, la violenza psicologica è sempre cosa orribile. Soprattutto quella veicolata dalla manipolazione, quindi da attacchi dietro alle spalle. Giovanni Padovani era caduto in una relazione tossica, intrappolato in un circolo vizioso, attirato da continui love bombing, con atteggiamenti adulatori nei suoi confronti, manipolazioni, regali di ogni tipo per poi essere allontanato puntualmente con silenzi punitivi, svalutazioni, attacchi alla propria persona. Hanno aggredito il valore personale del 26enne, completamente”, spiega la psicologa ai suoi follower su Tik Tok, sostanzialmente descrivendo Padovani come vittima della carnefice Matteuzzi. Carnefice, che però, stando ai fatti, è stata uccisa nella sera del 23 agosto del 2022 massacrata a martellate in testa, calci, pugni in via dell’Arcoveggio a Bologna dopo aver subito persecuzione e stalking che l’avevano portata a denunciarlo prima del tragico epilogo.

Bargnesi negli ultimi secondi di video ci tiene a sottolineare di non giustificare Padovani per ciò che ha commesso “ma cerco di comprendere cosa è successo. Di fronte alla violenza psicologica possiamo scappare via, più lontani possibile. Giovanni non è riuscito a farlo, non ha capito cosa stava succedendo e per questo ora è in trappola”. Insomma, non giustifico però la colpa non è proprio tutta sua, traducendo in parole povere. Alla fine Padovani è stato portato al punto di commettere un atto efferato del genere perché vittima di una continua manipolazione, di gaslighting, di attacchi velati che l’hanno destabilizzato.

Questi letteralmente i concetti che Bargnesi sostiene lungo tutto il suo video e in un secondo Tik Tok pubblicato qualche giorno dopo: “Quando la tua identità viene attaccata, con la manipolazione, quindi con attacchi mascherati, velati, non visibili, vai in confusione, ti destabilizzano, non sai più che cosa sta succedendo, ritieni che tu sei il responsabile di tutto, vai in confusione. Dopo tutti questi attacchi Giovanni non sapeva nemmeno più chi era, pensava di non valere nulla. E solo chi attraversa questi momenti è capace di comprendere il danno. E poi il gaslighting e la diffamazione con terzi insinuando cose che ancora non erano in essere in Giovanni, non si erano mai manifestate. Poi le triangolazioni con altri uomini, facendo sentire Giovanni niente, di nessun valore. La dissonanza cognitiva prodotta nel giovane e che dal controllo ossessivo questa persona poi passava a momenti di allontanamento, di silenzio punitivo, poi di nuovo love bombing e poi di nuovo svalutazione, offese, gaslighting”.

Il ritratto prodotto da Bargnesi su Tik Tok è ben poco lusinghiero nei confronti di Alessandra Matteuzzi, descritta come una che ha portato attraverso tutta una serie di manipolazioni il povero Padovani a commettere un gesto folle, un qualcosa che mai e poi mai avrebbe commesso, sostanzialmente.

Infine Bargnesi sottolinea che un ragazzo di soli 26 anni non poteva avere gli strumenti per difendersi dai continui abusi di Matteuzzi, molto più grande di lui, una serie di abusi che alla fine l’hanno trasformato in mostro. Un mostro frutto di null’altro che della proiezione dell’abusante su di lui. Ovvero la Matteuzzi. “Un tira e molla, una montagna russa per mandare in tilt un cervello debole e ancora in via di sviluppo perché a 26 anni si è ancora troppo giovani, si è ancora nella fase della post-adolescenza, non si hanno le risorse che si possono avere a 56 anni. No, quelle Giovanni non le aveva, non poteva difendersi. Era in trappola. E quando sei in trappola cadi in una spirale, non sei più che fare, sei completamente ferito e disintegrato. Giovanni in questa storia cercava un punto di riferimento, l’amore, non aveva capito che questa persona era diversa da come se l’era immaginata lui. Lui era diverso, aveva fiducia nelle persone, nella vita. Ma che ne sa un ragazzo di 25 o 26 anni? Era ancora un bambino sotto certi aspetti, fragile […] Il mondo di Giovanni era veramente lontano da tutto questo, non l’ha riconosciuto, è caduto nella trappola. L’abuso psicologico può portarti a fare cose che non avresti mai pensato di fare perché ti strappa via da te stesso, non sei più tu. Diventi il mostro con cui ti sei relazionato per la continua proiezione di questo mostro su di te. Alla fine ti lava il cervello, quando ci caschi e sei in trappola, non sei più lucido. In questo senso non sei più capace di intendere e di volere perché dopo una manipolazione o un abuso tu non sei più lucido e puoi fare perfino qualcosa che non ti appartiene. Perfino atti suicidari o omicidi”.

Bisogna usare Tik Tok?

Ecco, sebbene sia assolutamente logico che un consulente di parte cerchi di lavorare a tutela e beneficio del proprio assistito, così normale non è però che un consulente di parte, a poche settimane dalla pronuncia della sentenza - che hanno visto poi condannare Padovani all’ergastolo - utilizzi piattaforme social come Tik Tok per pubblicare video di discredito su una vittima presentati al pubblico come “la verità di una relazione tossica” e “raccontiamo come sono andati realmente i fatti”. E questo a prescindere dalle tesi e ipotesi espresse.


Si parla di