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I redditi del sud Italia più bassi della Grecia che brucia

Studio del Censis sulla "Crisi sociale del Mezzogiorno": una famiglia su quattro è povera; 39 su 100 sono a rischio. E aumenta sempre di più il gap tra ricchi e persone in difficoltà economica.

In questi anni di crisi economica è cresciuto in maniera esponenziale il divario Nord-Sud e nel Mezzogiorno si sono allargate le distanze tra ricchi e poveri: una famiglia su quattro ha difficoltà ad affrontare anche le spese essenziali ed è quindi materialmente povera. A sostenerlo il rapporto Censis sulla 'Crisi sociale del Mezzogiorno'.

Calabria, Sicilia, Campania e Puglia registrano indici di diseguaglianza più elevati della media nazionale. Il 26% delle famiglie residenti nel Mezzogiorno è materialmente povero - con difficoltà oggettive ad affrontare spese essenziali o impossibilitate a sostenere tali spese per mancanza di denaro - a fronte di unamedia nazionale del 15,7%. E nel Sud, prosegue il rapporto Censis, sono a rischio di povertà 39 famiglie su 100 a fronte di una media nazionale del 24,6%.

Fra i grandi sistemi dell'eurozona "l'Italia è il Paese con le più rilevanti diseguaglianze territoriali". Se si confronta il reddito pro-capite delle tre regioni più ricche e più povere dei grandi Paesi dell'area dell'euro emerge che l'Italia ha il maggior numero di regioni con meno di 20.000 euro pro-capite: sono 7 rispetto alle 6 della Spagna, le 4 della Francia e una sola della Germania.

All'estremo opposto, la Germania ha 10 regioni con oltre 30.000 euro pro-capite, la Francia la sola Ile-de-France, mentre l'Italia ne ha 5 e la Spagna nessuna. Il Centro-Nord (31.124 euro di Pil per abitante) è vicino ai valori dei Paesi più ricchi come la Germania, dove il Pil pro-capite è di 31.703 euro. Mentre i livelli di reddito del Mezzogiorno sono inferiori a quelli della Grecia (17.957 euro il Sud, 18.454 euro la Grecia).

In questo quadro pesa come un macigno un sistema imprenditoriale "già fragile e diradato" che "è stato sottoposto negli ultimi anni a un processo di progressivo smantellamento, costellato da crisi d'impresa molto gravi come quelle dell'Ilva di Taranto e della Fiat di Termini Imerese". Tra il 2007 e il 2011 gli occupati nell'industria meridionale si sono ridotti del 15,5% (con una perdita di oltre 147.000 unità) a fronte di una flessione del 5,5% nel Centro-Nord. Oltre 7.600 imprese manifatturiere del Mezzogiorno (su un totale di 137.000 aziende) sono uscite dal mercato tra il 2009 e il 2012, con una flessione del 5,1% e punte superiori al 6% in Puglia e Campania.

Di riflesso si allargano le distanze sociali. Calabria, Sicilia, Campania e Puglia registrano indici di diseguaglianza più elevati della media nazionale. Il 26% delle famiglie residenti nel Mezzogiorno è materialmente povero (cioè con difficoltà oggettive ad affrontare spese essenziali o impossibilitate a sostenere tali spese per mancanza di denaro) a fronte di una media nazionale del 15,7%. E nel Sud sono a rischio di povertà 39 famiglie su 100 a fronte di una media nazionale del 24,6%.

Le cause? Molteplici. In primis "il persistere di meccanismi clientelari, di circuiti di potere impermeabili alla società civile e la diffusione di intermediazioni improprie nella gestione dei finanziamenti pubblici - spiega il Censis - contribuiscono ad alimentare ulteriormente le distanze sociali impedendo il dispiegarsi di normali processi di sviluppo".


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