Politica

Pd: primarie l'8 dicembre ma si spacca sulle regole. Renzi bacchetta Letta

Prima il sì sulla data del congresso. Poi lo strappo sulle regole: non passa la norma che separa candidato premier e segretario. Renzi lancia la sfida e attacca Letta: "Deficit oltre il 3%? L'instabilità politica non sia un alibi"

Renzi all'assemblea nazionale del Pd

Il Pd ha scelto (e questa è già una notizia viste le premesse tribolate): le primarie per l’elezione del nuovo segretario si svolgeranno l’8 dicembre. E non ha scelto: sulle regole, infatti, è scontro. Tanto che, dopo un durissimo dibattito interno, il voto è slittato.

Con ordine, partendo dall'acquisito, la data dell'elezione del nuovo segretario. Il documento della commissione per il congresso – che poi dovrà essere ratificato dalla direzione nazionale fissata per il 27 settembre – è stato approvato con 378 sì, 74 no e 24 astenuti. I dem, quindi, riparto dell’Immacolata. Un partito a trazione evangelica, verrebbe da dire. Fuor di battuta, ma continuando a seguire un registro biblico, Epifani, dopo settimane di polemiche, con Renzi a ricordargli di continuo il suo ruolo – “basta traccheggiare, convochi il congresso” –, è riuscito a mettere un punto su quel che oramai era diventato un tormentone, tra ipotesi e scontri: stabilire l’ora e la data del giorno del giudizio. Troppo? In senso lato, decisamente sì. Non per quel che riguarda la sinistra. Sì, perché se da oggi parte ufficialmente la corsa dei pretendenti alla segretaria (e le premesse fanno pensare ad una campagna elettorale durissima), il giorno dell’Immacolata si deciderà il volto e il grosso non solo del Pd ma anche della sinistra italiana. 

CANDIDATI – Entro l’11 ottobre l’ufficializzazione della candidature. Ci sarà Gianni Pittella, ci sarà Pippo Civati, che farà da outsider, ma la vera partita si giocherà tra due blocchi contrapposti: quello di Matteo Renzi (appoggiato da Franceschini e AreaDem, un pezzo di Ds e Veltroni) e l’altro di Gianni Cuperlo (il delfino di D’Alema, sostenuto da Bersani, Marini e i Giovani Turchi di Orfini). Due candidati, due sinistre. La fenomenologia della rottamazione, il rinnovamento pratico e ideologico, il partito liquido da una parte, dall’altra una nuova lettura della “profezia della sinistra” senza la quale il cambiamento non troverà spazio. ‘Due vite, due letterature’, come ebbe a dire Albert Camus (per carità, era un’altra storia). Ma questa è già campagna elettorale, quella sui sistemi applicati e storico-filosofici della pancia e nella testa del nuovo Pd. ‘Roba’ di domani, dopo domenica 8 dicembre. Oggi c’è da fare un congresso. 

Renzi, le primarie, le avrebbe volute prima. Ma si accontenta, anche se gli è rimasto qualche brucior di stomaco: “Prima era il sette novembre, poi il 15 dicembre. Basta che non sia a Natale, abbiamo già perso l’Immacolata Concezione”. Così ieri, in salsa agrodolce. Oggi l’asprezza, che pur c’è, è stata relegata a un suo fidato, l’on. Davide Faraone che su Twitter ha commentato amaro: “Otto dicembre. I “culi di pietra” voteranno di sicuro, i cittadini “normali” vediamo. Hanno l'idea di un partito per pochi intimi”. Anche Cuperlo – più applaudito del rottamatore in assemblea –  si è accontentato. Lui il congresso l’avrebbe fatto a “luglio”, tuttavia “il lavoro della commissione è un successo di tutti, le regole non sono soltanto una data ma garanzie che rendono la competizione trasparente, sobria anche nelle spese”.

LE REGOLE – Fatto salvo il quando, la data, pur non senza polemiche, a far discutere è il come, le regole del ‘giochino’. Un dibattito durissimo che si è infiammato nelle battute finali, un ‘metro’ prima della votazione. E invece, L’accordo sulle regole è saltato. Il Pd si è spezzato in due. Senza i numeri, senza maggioranza, tanto da decretare il tutti a casa. Al triplice fischio finale sul piatto è rimasto solo la data. E sulle regole? Nulla di fatto. E dire che la commissione aveva lavorato fino a tarda notte, fino a che non era stato trovato l’accordo sulla bozza. A maggioranza, con tutti i distinguo del caso e di peso. Che poi, in giornata hanno fatto la differenza. 

Due punti, uno ha fatto la differenza. Il primo, il metodo della questione: il ritorno al passato, all’era Prodi, Veltroni, Bersani. Le primarie saranno aperte. E semplici, così come le voleva ‘Matteo’. La platea elettorale sarà aperta a tutti; per votare occorrerà solo un po’ di pazienza nel caso si dovessero formare file ed ingorghi ai seggi e due euro in tasca. Tutto qui e fin qui tutto bene.

Il secondo, il cambio deciso dello statuto, l’elemento che ha rotto le uova nel paniere. La scelta Il Pd, oggi, ‘epocale’: la figura del segretario sarà distinta da quella del candidato premier. Articolo 3 dello statuto: “Il segretario è proposto dal partito come candidato all’incarico di presidente del Consiglio dei Ministri”. In nottata, su decisa spinta dei bersaniani, la nuova stesura: “Il segretario nazionale rappresenta il partito, ne esprime l'indirizzo politico sulla base della piattaforma approvata al momento della sua elezione”. 

Che a vederla bene, non è solo una semplice rivisitazione statutaria. No, è molto più. Racconta la nuova dimensione del Pd, che in un certo senso ‘dimentica’ o quanto meno ridimensione un principio cardine, lanciato da Veltroni al Lingotto nel 2008: la propria vocazione maggioritaria. Lo statuto che cambia, una commissione interna che modifica la natura di un partito. Chiamatelo pure effetto Renzi, anzi paura per l’effetto Renzi. Due ‘cose’ distinte, ed una, messa in pericolo dall’altra in fortissima ascesa, che prova strenuamente a tutelarsi un pezzo di futuro. Sta di fatto che su questo punto dirimente, il Pd si è sfaldato. Ed ha deciso di non votare. 

In pratica: a Renzi, quell’accordo non piaceva. Separare le cariche, lo avrebbe vincolato ad un destino, almeno nell’immediato. E su questo fronte il sindaco ha trovato terreno fertile. “Bindiani e veltroniani non hanno mantenuto l’accordo sottoscritto nella notte”, è il commento di un dirigente lettiano di primo piano. Senza dimenticarsi di Franceschini e parte di AreaDem. Ha vinto Renzi? Insomma. La norma statutaria della discordia, da lui così osteggiata, non è passata. È c’è una data certa, l’8 dicembre. Quel che voleva il ‘rottamatore’, anche se in tempi allungati. E tuttavia il bicchiere da mezzo pieno, nel breve potrebbe trasformarsi in mezzo vuoto. Il patatrac sulle regole, infatti, ha inasprito il clima. Tanto che potrebbe rimettere in discussione anche l’appuntamento dell’Immacolata. 

REAZIONI – “Chi ha gestito così la giornata si è assunto le responsabilità di continuare ad indebolire il partito. C’è chi lavora per cercare di non far svolgere il Congresso entro la fine dell’anno. Chi ha lavorato per fare il Congresso sono Cuperlo, Renzi, Civati e Pittella e penso che gli elettori Pd vogliano che il Congresso si celebri il prima possibile e non che si rinvii continuamente. E'  stata un’Assemblea dannosa”. Durissimo Pittella: “Il Partito Democratico non si merita questa classe dirigente. C’è chi lavora scientemente per il caos con l’unico scopo di sopravvivere, spingendo così il partito al suicidio politico. Dopo quattro mesi di inutile dibattito su regole e data, come nel gioco dell'oca siamo tornati al punto di partenza questo Pd sta diventando un caso clinico. E l’unica terapia per ripartire e non regalare nuovamente il Paese a Berlusconi è il congresso, che deve svolgersi l’8 dicembre come stabilito”.

RENZI - Già, Renzi, che qualche ora prima del patatrac, presa la parola all’assemblea, cosa rarissima, ha lanciato la sua sfida: “Una volta stabilite le regole, inizieremo da Bari. Il Pd deve avere al centro i sindaci: questa sarà una delle partite più importanti”. L’antipasto dell’intervento, poi le pietanze grosse, le classiche ‘picconate’: “La crisi non è crisi del modello della destra, cui dobbiamo corrispondere con la nostra proposta. La crisi della politica interpella tutti noi. In questi 20 anni abbiamo governato anche noi, ci siamo stati anche noi. Se non siamo in grado di interpretare il cambiamento è un nostro problema”. E aggiunge: “Io penso che un minuto dopo che sarà archiviata definitivamente la vicenda di Silvio Berlusconi, dobbiamo avere il coraggio di dire che va profondamente riformato il sistema della giustizia civile”.

Poi l’affondo, l’ennesimo, all’amico Letta, che da premier ha deciso di tenere un profilo istituzionale e non schierarsi (anche se tra i lettiani di ferro è ‘spaccatura’ se Paola De Micheli, ha sposato la causa Cuperlo, e l’onorevole Boccia quella Renzi), ma a cui il sindaco di Firenze riserva sempre la ‘sorpresina’ tra le gengive: “Se si è sforato il tetto del 3,1 o si ha il coraggio di dire che quei parametri vanno rimessi in discussione o si ha il coraggio di dire che l’Imu lo rimetteremo a posto. Non è giusto dare la colpa all’instabilità politica, l’idea che sia sempre colpa di qualcun altro”. 

CUPERLO Renzi parla, Cuperlo in platea lo ascolta. Fino a che il discorso non tocca direttamente lui: “Se dovessi essere sconfitto sarei in prima fila, accanto a Gianni”. Lo disse su Bersani, durante le primarie, l’ha ridetto oggi. Sottolineando un fatto noto: l’unico avversario tra lui è la segreteria è proprio Cuperlo. L’uomo mandato in orbita da D’Alema che poco prima dell’intervento del sindaco ha detto, rivolto a Renzi: "Anche il migliore non può vincere da solo". E al partito, con fare profetico visto gli sviluppi di lì a poco: “Qui dentro non c’è qualcuno che vuole tornare a vincere e qualcuno che vuole perdere ancora. Qui dentro vogliamo vincere tutti, ma torneremo a farlo solo se avremo l’ambizione di parlare a tutti, ma usando le nostre parole”. La profezia della sinistra, appunto. 


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