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Inginocchiarsi serve, ma non basta: si parta dalla scuola

“Papà, perché i giocatori sono in ginocchio?”, “Per sensibilizzare gli spettatori contro il razzismo”. “E cosa è il razzismo?”, “Una presunta supremazia di una razza su un’altra”. Ipotizziamo un possibile dialogo tra un genitore e il proprio di figlio, magari di 8/9 anni, quando il piccolo vedrà i giocatori inginocchiati pochi secondi prima della partita tra Italia e Belgio. Un dialogo positivo, perché nel caso specifico un gesto simbolico potrà spiegare a un bambino che cosa è il razzismo. Il rovescio della medaglia è che dopo tutte le (sterili) polemiche ci potrà essere qualcuno che risponderà alla domanda del proprio piccolo dicendo: “E’ tutta una trovata politica”.

E’ proprio questo il problema delle assurde polemiche che si sono create intorno a quello che dovrebbe essere un gesto spontaneo contro qualcosa che sembra assurdo esista nel 2021. Nell’epoca in cui controlliamo la nostra vita con un dito, si deve ancora discutere di razzismo. Ma l’equazione “se non ti inginocchi sei razzista” va respinta senza se e senza ma. Inginocchiarsi può servire, ma non basta. Perché se ti inginocchi e poi stringi più forte la mano a tua figlia perché camminando sul marciapiede incroci un nero allora è solo ipocrisia. Il problema del razzismo esiste. E’ reale. In Italia come in altre parti del mondo. Ma perché si possa un giorno superare urge un cambio culturale. Che parta proprio dai bambini, e quindi dalla scuola. Perché un trentenne che espone allo stadio uno striscione con scritto “non esistono neri italiani” non lo puoi più recuperare. Lo puoi punire, ma redimerlo dalla sua ignoranza e dalla sua imbecillità diventa utopia. Non si può combattere il razzismo con le stesse armi con cui si combatte l’alta velocità.

Bisogna agire sui bambini. Nell’età in cui sono scevri da qualsiasi condizionamento sociale. Partire con un programma di educazione civica serio sin dalla scuola elementare. Bisogna raccontare loro cos’è stata la tratta dei neri, la schiavitù, l’apartheid. Spiegare che la razza umana è una. E che il diverso colore della pelle è solo una questione di genetica. E poi andare oltre contro ogni discriminazione. Spiegare perché se ci sono bambini in classe che fanno la preghierina prima di mangiare la colazione, ce ne sono altri che non mangiano perché stanno praticando il Ramadan. Storia delle religioni, piuttosto che l’ora di religione cattolica.

E poi ancora iniziarli al concetto di diversità. Vista come una risorsa e mai come un problema. Piuttosto che definire il compagnetto autistico un bambino “speciale”, si potrebbe spiegare loro che si tratta di un bambino che ha delle difficoltà di comunicazione e di socializzazione. E che bisogna includerlo e non escluderlo. Che ci sono coppie composte da uomo e donna, ma anche da uomo e uomo e donna e donna. Sacrificando qualche poesia imparata a memoria, tra qualche anno potremmo avere degli adolescenti che non picchiano il compagno perché gay.

Per questo non c’è tempo da perdere: piuttosto che discutere sull’utilità dei banchi a rotelle serve una seria riforma del nostro sistema scolastico. Che sia al passo coi tempi e che possa veramente formare alla vita reale. I bambini di oggi sono i genitori e gli insegnanti di domani. Con l’augurio che tra 50 anni i giocatori possano inginocchiarsi vicino alla bandierina solo dopo un gol.


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